Discussione:Il deserto dei Tartari (film)

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Austro-ungarico[modifica wikitesto]

Sottotenente austro-ungarico? È vero che la bandiera e l'ambientazione sembrano molto austro-ungariche, ma non si parla mai di impero austro-ungarico, solo genericamente di "impero". La stessa bandiera che più volte si vede anche se si ispira allo stemma asburgico è una bandiera fittizia. Questo commento senza la firma utente è stato inserito da 79.42.121.205 (discussioni · contributi) 24 ago 2010 alle 17:42.

Confermo: non si parla mai di nessuna collocazione spazio-temporale precisa. --  Il Passeggero - amo sentirvi 09:11, 3 dic 2014 (CET)[rispondi]

Lettura del film[modifica wikitesto]

Uno dei temi chiave della vicenda trasposta nel film mi sembra sia quello del non vedere, di voler eludere la presa di consapevolezza dei cambiamenti nella realtà circostante. Nel film questo atteggiamento non è determinato da una reale incapacità di accorgersi di quello che sta accadendo al di fuori delle possenti mura della fortezza, di vedere ciò di cui si è in attesa da sempre, ma è la conseguenza di ordini superiori, di una volontà superiore che impone ai comandanti della guarnigione di evitare gli allarmi, di astenersi dall’investigare e, soprattutto, di prendere le opportune contromisure. Unico ordine “operativo” emanato dal centro dell’impero è quello di tenere le posizioni, e magari riuscire a strappare un brandello insignificante di territorio, prima che il confine definitivo venga tracciato. Ma anche questo ordine, questa reazione, sembra essere assolutamente sproporzionata rispetto a quanto sta accadendo. In ogni caso, questa volontà superiore sovrasta quella dei militari, anche degli ufficiali di più alto grado, li sovrasta anche quando appare evidente che le conseguenze di ritardare la presa di coscienza di quanto accade potranno essere loro fatali. Questo tema si intreccia con quello della malattia che colpisce nell’anima alcuni degli uomini della guarnigione. Inutile tentare di trovarne la causa biologica: il bacillo, magari arcaico, che si annida nelle crepe dell’antica fortezza, e che subdolamente aggredisce i militari e ne mina lentamente la psicologia. Quel malessere sembra, al contrario, nascere nell’intimo delle vittime; un male dell’anima, quel male che si accompagna, ne è effetto ma forse anche causa, al loro attaccamento a quella fortezza, cosi come all’attesa di qualche cosa che deve accadere, del nemico che deve arrivare dalle lande deserte, misteriose, oltre i confini di ciò che è noto. Evidente, quindi, anche il tema della linea di confine, dello spartiacque tra noto ed ignoto, tra il proprio mondo e quello “altro”, tra occidente civile e organizzato e un oriente la cui distanza appare amplificata da quella landa di confine dove, oltre l’orizzonte, ci si può solamente immaginare mistero, pericolo, ostilità, inaccessibilità. Eppure tutti aspettano che questo mondo “altro” faccia la sua comparsa, si riveli al di qua delle montagne e della linea del deserto. Lo sanno ma soprattutto lo desiderano quegli uomini che sono stati inviati in quella terra di confine da un destino ineffabile. Allora sembra che il vero motivo dominante della storia sia quello dell’attesa di un mutamento epocale, profondo, sostanziale; un mutamento che interviene da una dimensione dove il confine tra ciò che è noto, stabilito, regolato, controllabile, rassicurante e, al contrario, quello che è ignoto, incontrollato, infido, spaventevole è, o può divenire - come in determinati periodi della storia di una civiltà allo stesso modo che di un individuo -, labile. Il mutamento è atteso da sempre perché, da sempre, sappiamo che il mutamento è alla base della storia; è condizione perché vi sia Storia. Ma il mutamento profondo, sostanziale, epocale terrorizza, tende all’estremo la capacità di sopportazione delle società come degli individui; ne mette a dura prova la tenuta morale e spirituale. E la reazione di fuga è quella che forse il più delle volte prende il sopravvento. O, meglio, la risoluzione di non vedere; di non prendere coscienza di quello che sta accadendo, di non prendere le opportune decisioni e contromisure. Non è semplice paura, viltà nei confronti della battaglia a cui, dopo tutto, ci si sta preparando da sempre, a costo di sacrifici e privazioni, ma reazione, forse inconscia, determinata da un conflitto altrettanto intimo che vieta che si veda chiaramente. Una incapacità di prendere piena consapevolezza di quanto accade e di come agire affinché la situazione, per quanto difficile e rischiosa, possa essere sfruttata anche a proprio vantaggio: per salvare il salvabile. Il cambiamento epocale è, come atteso, come previsto dalla notte arcaica dei tempi, fonte di conflitto, anche di una guerra feroce e distruttiva. Proprio per questo occorre, per essere pronti ad affrontarlo, una profonda capacità di adeguamento, una plasticità, una predisposizione a guardare l’anima – di un uomo come di una società – per coglierne le sfumature, i mutamenti, per accogliere quella molteplicità che permetterebbe la sopravvivenza in qualsiasi evenienza. Il rigore assoluto, arcigno, irreggimentato di una guarnigione militare sembra, al contrario, essere paradigma di una natura troppo rigida per riuscire ad assorbire e rielaborare i colpi profondi e violenti che i cambiamenti richiedono. Incapace quindi di capire, vedendo con gli occhi potenti della visione dal di dentro - interiore - le dinamiche che, indipendentemente dalle proprie esigenze e dalle previsioni dei modelli storici, basati sul passato e su troppo razionali calcoli economici o scientifici, si mettono in moto al momento giusto ai nostri confini, la natura dell’uomo ne è spesso sconfitta. Forse nella storia è sotteso un monito alla società umana che, quando è troppo affidata a sistemi ortodossi ed eccessivamente rigorosi, può ammalarsi, e retrocedere fin’anche all’estremo annientamento, piuttosto che prendere coscienza di appartenere a quella Storia cui tanto si anela, Storia che, come sinonimo di Destino, chiede, pretende di essere accettata, lottata e vissuta. Questo commento senza la firma utente è stato inserito da 94.166.66.74 (discussioni · contributi) 25 ago 2010 alle 10:19.

Differente tra romanzo e film[modifica wikitesto]

La sezione è pesantemente POV, risulta una ricerca originale priva di fonti. Nel film inoltre non viene data alcuna collocazione spazio temporale, non mi risulta che il film venga collocato nell'impero Austro-Ungarico. Rimuovo pertanto sezioni di testo che accennano a questo. --  Il Passeggero - amo sentirvi 09:21, 3 dic 2014 (CET)[rispondi]

Testo rimosso

Inoltre, in nome di una maggiore concretezza cinematografica, il regista colloca il deserto dei Tartari ai margini (presumibilmente settentrionali o orientali) dell'Impero Austro-Ungarico, e fornisce ai protagonisti una spiccata personalità ottocentesca. Questi realismi sono assenti nel romanzo dello scrittore bellunese, come in quasi tutta la sua poetica; anzi, nel romanzo essi sono volutamente resi ambigui e inefficaci.

Tuttavia c'è da dire che tale caratterizzazione era praticamente obbligata nella trasposizione da un'opera letteraria a forte contenuto evocativo e simbolico, a un'opera cinematografica in cui i personaggi e gli eventi devono necessariamente trovare una collocazione visiva nei costumi e nella cultura di un'epoca storica.

Il periodo storico a cavallo tra Ottocento e Novecento era l'unico che si prestava a rendere molti particolari presenti nel racconto letterario (eserciti con cavalli, armi da fuoco e cannoni, mitragliatrici vecchio tipo e cannocchiali per l'osservazione). Analogamente l'Impero Austro-Ungarico di fine Ottocento-inizio Novecento era l'unica entità storica che poteva giustificare molti particolari del racconto, come l'ambientazione di un regno europeo ma al contempo confinante con zone insieme desertiche e montagnose (in questo senso il cosiddetto e misterioso 'Stato del Nord' proveniente da un luogo vasto e desolato potrebbe così essere identificato con l'Impero Russo che costituiva tutta la frontiera orientale dell'Impero Asburgico dalla Polonia al Mar Nero).

Tali adattamenti a realtà storiche erano inevitabili per evitare che l'opera pur esplicitamente fantastica e irreale, perdesse quella concretezza minima che garantiva comunque l'identificazione dello spettatore. Tenendo conto di questo è anche corretto che il film venga collocato temporalmente con una data di inizio specifica lunedì 2 agosto 1907, anche se questo porta ad incongruenze con la storia reale. Infatti, a parte il fatto che il 2 agosto 1907 non era lunedì ma venerdì[1] (e questo è l'unico errore vero e proprio), il racconto intero apparirebbe anacronistico rispetto alla storia reale in quanto lo svolgimento del racconto copre quasi 25 anni, mentre dopo soli 7 anni dall'arrivo di Drogo alla fortezza scoppiò la prima guerra mondiale (che avrebbe coinvolto l'Austria contro tutti i suoi vicini), terminata con la sconfitta 11 anni dopo l'arrivo. Volendo cimentarsi nell'esercizio di trovare date coerenti con un lunedì 2 agosto, l'inizio del racconto dovrebbe essere collocato nel 1869, 1875 o 1880. D'altra parte solo il 1º anno sarebbe coerente con la tecnologia presentata nel film che, alla fine del racconto come all'inizio, prevede solo l'uso di cavalli, carrozze e messaggeri a cavallo; ciò sarebbe impossibile con le date d'inizio del 1875 o 1880 perché l'automobile data alla fine dell'Ottocento e le comunicazioni via radio all'inizio del Novecento.

Il film viene collocato temporalmente con una data di inizio specifica lunedì 2 agosto 1907, anche se questo porta ad incongruenze con la storia reale. Infatti, a parte il fatto che il 2 agosto 1907 non era lunedì ma venerdì[2] (e questo è l'unico errore vero e proprio), il racconto intero apparirebbe anacronistico rispetto alla storia reale in quanto lo svolgimento del racconto copre quasi 25 anni, mentre dopo soli 7 anni dall'arrivo di Drogo alla fortezza scoppiò la prima guerra mondiale (che avrebbe coinvolto l'Austria contro tutti i suoi vicini), terminata con la sconfitta 11 anni dopo l'arrivo. Volendo cimentarsi nell'esercizio di trovare date coerenti con un lunedì 2 agosto, l'inizio del racconto dovrebbe essere collocato nel 1869, 1875 o 1880. D'altra parte solo il 1º anno sarebbe coerente con la tecnologia presentata nel film che, alla fine del racconto come all'inizio, prevede solo l'uso di cavalli, carrozze e messaggeri a cavallo; ciò sarebbe impossibile con le date d'inizio del 1875 o 1880 perché l'automobile data alla fine dell'Ottocento e le comunicazioni via radio all'inizio del Novecento.

La morte di Drogo[modifica wikitesto]

Contrariamente a quanto scritto nel paragrafo dedicato alle differenze tra romanzo e film, Drogo non muore sdraiato nel letto di una locanda, bensi´ seduto su una poltrona da cui ode uno scricchiolio di porta: e´ la morte che avanza e che Drogo affronta con il sorriso, vincendo la sua guerra.