Discussione:Dhimmi

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Ho messo che le limitazioni non trovano applicazione nella maggior parte dei paesi islamici anziché nella totalità pensando all'Arabia saudita, dove agli infedeli è proibito mettere piede alla Mecca e dove vigono gravi limitazioni alla libertà religiosa. Il dubbio che mi viene è se questi limiti hanno origine dallo statuto dei dhimmi o se provengono da altre considerazioni. --Acis 20:42, 4 ott 2006 (CEST)[rispondi]

Trovo un po' contradditoria l'affermazione che Oggi tutto ciò non trova più alcuna applicazione, né teorica né pratica, dato che ferme restando le limitazioni al culto riassumibili nel divieto di proselitismo e dell'uso delle campane o di altri strumenti che servano ad adunare ostentatamente fedeli di religioni diverse da quella islamica Se nei paesi a maggioranza islamica i fedeli non islamici subiscono delle limitazioni nel proselitismo (lasciando stare le campane), questo secondo me rappresenta una continuità nello status di dhimmi nei confronti di queste minoranze. Inoltre a quanto ne so in paesi a maggioranza islamica e teoricamente laici come la Turchia vi sono in pratica numerose limitazioni per i cristiani (vedi chiesa cattolica in Turchia). --Acis 11:15, 7 ott 2006 (CEST)[rispondi]

Dunque, riepilogando. Nei paesi che l'Islam ha assoggettato politicamente il culto delle religioni "del libro" è ammesso, con alcune limitazioni che attengono a ragioni - più o meno valide - di ordine pubblico. Il divieto di proselitismo, punto dolente per evidente mancanza di reciprocità in età contemporanea, era peraltro impedito anche nell'Europa cristiana, sia nei confronti dell'Ebraismo sia nei confronti dell'Islamismo (se mai ci fosse stato questo problema al di fuori delle aree balcaniche). Comunque è una limitazione che noi possiamo vantarci di avere abbandondonato solo con la Rivoluzione Francese. Elenchiamola, nondimeno.
Secondo: il divieto di erigere chiese. Il divieto (che risale ai primissimi anni delle conquiste) è spesso del tutto teorico. Già varie volte furono autorizzate nuove costruzioni e, in età contemporanea, basterebbe andare in Egitto per convincersene. Vogliamo dire che alcuni paesi ancora limitano questa libertà? Diciamolo, ma senza impancarci a esempio da imitare quando - come è capitato proprio a Roma - la costruzione dell'unica moschea ha mobilitato per anni e anni una parte del mondo politico e della stampa scritta e parlata per evitare che a Monte Antenne si erigesse un luogo di culto che "recava offesa" alla Cristianità. Sciocchezze che sono alla fine state superate, ma con enorme difficoltà, pochissimi anni or sono. E sappiamo quanto difficile sia costruire moschee monumentali in tutta Italia!
Terzo: il divieto di far risuonare le campane. Ci rendiamo conto che anche da noi - e parlo per testimonianza diretta - è "sconsigliato" il richiamo della preghiera islamica: eufemismo per "vietato", anche se manca la norma scritta?
Quarto: il divieto di apostasia. Ricordo sommessamente che per il diritto canonico l'abiura è vietata anche nel Cristianesimo, solo che esso non ha più un "braccio armato" per sanzionarla. In passato è stato fatto eccome!
Quinto: il divieto di costruzioni o tombe cristiane che incombano su quelle islamiche. Divieto del tutto caduto nel dimenticatoio. Anche perché i cristiani si fanno seppellire in luogo "benedetto" e non nei cimiteri di altre religioni. E le altre religioni si tengono anch'esse a debita distanza dalle tombe di fedeli di altri culti.
Sesto: Divieto di indossare abiti arabi, cinture, di lasciare il lato ombroso della strada ai musulmani, ecc. Non ne parliamo neppure. Basta andare in visita in un qualsiasi paese musulmano per sincerarsene.
In definitiva: descriviamo le limitazioni astratte e concrete senza tacere nulla ma tracciamo una bella linea di demarcazione su libertà di culto e libertà di proselitismo che ha poco o nulla a che fare con la prima. Certo due religioni "ecumeniche" che vogliono e debbono chiamare a sé tutto il creato senziente non possono non entrare in conflitto sul proselitismo. Ma questa, ripeto, non è una limitazione alla libertà religiosa, ma solo alla sua potenzialità espansiva. Per essere cristiano non si è obbligati a convertire il proprio prossimo. Magari sarebbe bene che ci si provasse (ma allora immaginiamoci quel che succederebbe in un paese come l'Italia, ormai quasi totalmente decristianizzata. La libertà di proselitismo, spiace ricordarlo, è un frutto (buono o cattvo decida ognuno nella sua coscienza) della separazione fra Chiesa e Stato. Del laicismo. Di quello che Pera chiamerebbe, scandalizzato, "relativismo etico". Non sei anche tu d'accordo? Ciao. --Cloj 16:46, 7 ott 2006 (CEST)[rispondi]

Gli argomenti che hai sollevato sono interessanti, ma in buona parte fuori tema. Non si sta discutendo della libertà religiosa nella storia dell'occidente, ma se nei paesi a maggioranza islamica esistano o no limitazioni al culto non islamico e se queste limitazioni sono un retaggio della tradizione dei dhimmi. Di certo esistono limitazioni gravi per i cristiani (limitandoci ai cristiani) in Arabia saudita e Sudan, Iran, nelle Maldive, nei paesi in cui vige la sharia. Limitazioni esistono in Turchia, stato teoricamente laico, come riportato nell'articolo dell'espresso nella voce sulla chiesa cattolica turca. Da dove saltano fuori? Sono una cosa recente o c'è una linea di continuità con lo status di serie B che hanno avuto i cristiani e gli ebrei in Oriente? Perché moltissimi cristiani e praticamente tutti gli ebrei sono emigrati dai paesi dell'islam? --Acis 18:29, 7 ott 2006 (CEST)[rispondi]

Temo che non riusciamo proprio a fasarci. Se vuoi sostenere che non c'è libertà religiosa nei paesi islamici (decine e decine di paesi con quasi 1 miliardo e 200 milioni di persone) puoi certo affermarlo legittimamente, ma non so con quanto spessore scientifico. Se vuoi dire che il culto conosce alcune limitazioni, relativamente a temi non strutturalmente essenziali per le religioni "protette", puoi dirlo, e 8secondo me) assai assennatamente. Se vuoi dire che ci sono persecuzioni "nei paesi islamici" mi rifaccio alla prima considerazione, a meno di non specificare in quali paesi esattamente e contingentemente ciò avviene. Diciamo e scriviamo tutto, ma proprio tutto, ma evitanmdo che ciò ingeneri deduzioni errate. La tentazione (che non sarà certo la tua) è quella di dimostrare che nell'Islam vige in nmodo diffuso l'intolleranza. E questa è un'autentica sciocchezza. Io, che giro continuamente (vuol dire una o più volte l'anno, per motivi di lavoro), in paesi musulmani non mi sono mai accorto di ciò. Me lo dicono talvolta i giornali (e certo riportano episodi veri, magari qualche volta in modo parziale e senza chiavi serie di lettura). Me lo dice Baget Bozzo, ma sono quanto meno scettico. Me lo dicono gli "atei devoti" alla Ferrara o alla Feltri. E storco ancor più la bocca. Ma di sicuto episodi di intolleranza certo esistono. Proprio come da noi. Forse con esiti più cruenti (e la cosa non può essere sottovalutata). Ma non ci illudiamo. Non mi sembra che contro il Cristianesimo o l'Ebraismo si levino voci che non siano quelle del terrorismo più sanguinario. Non mi sembra che cioè parlino Presidenti del Consiglio, ministri e parlamentari, uomini di cultura e giornalisti. L'intellighentsia cioè. La madre degli sciocchi, si sa, è sempre incinta e il mondo islamico ne ha tante di queste madri ma suggerire la teoria che l'intolleranza della cultura islamica verso le fedi protette (che pure sotto sotto inevitabilmente c'è, come in tutte le religioni nei confronti delle altre) sia la regola mi sembra un'affermazione (che tu non fai neppure lontanamente, sia chiaro) degna di Cascioli. Un cordiale arileggerci. --Cloj 20:41, 7 ott 2006 (CEST)[rispondi]

Scusa Cloj ma non capisco quale sia il problema. Se io osservo che in diversi paesi islamici non esiste libertà religiosa (con tutte le gradazioni possibili) e che il culto conosce alcune limitazioni, ed entrambe queste affermazioni sono vere, mi chiedo allora se questo è un retaggio della legislazione sui dhimmi. Tu sei un islamista e affermi che non è così, che tale legislazione non trova più alcuna applicazione nè teorica nè pratica. Ioho qualche dubbio e li sto sto esprimendo sulla pagina di discussione, felice di approfondire l'argomento con chi lo studia. Non sto stravolgendo la voce con riferimenti a qualche sito antislamico raffazzonato e pieno di odio. Ti prego anche di non paragonarmi a Cascioli. Ciao --Acis 08:08, 8 ott 2006 (CEST)[rispondi]

Faccio un passo indietro. Intanto non mi passa neppure per l'anticamera del cervello di paragonarti a Cascioli e sono assolutamente convinto che tu sia una persona più che corretta. Se ho dato questa impressione chiedo scusa. Mi sono evidentemente espresso male. Il mio timore invece non è quello che si specifichi il problema, che si forniscano più informazioni corrette possibili sul tema, che si voglia tacere qualcosa che deve essere detto. Il mio timore è che attraverso questo lemma si possa poi affermare (da qualcuno che non sei tu) che esiste un atteggiamento discriminatorio "ufficiale" verso la libertà di culto nella maggior parte dei paesi islamici. La qual cosa, salvo in Arabia Saudita e in limitate e contingenti occasioni in altri paesi, non risponde al vero. Nessuna legge prevede e autorizza questa discriminazione (da questo il mio avverbio "teoricamente").
Che in pratica ci siano episodi di intolleranza questo è vero (ne leggo anch'io sui giornali, anche se non mi è capitato mai di vederli personalmente in oltre 40 anni di frequentazione dei tanti paesi arabi in cui mi reco (quest'anno Egitto, Arabia Saudita e Siria, in tre diversi momenti dell'anno e nota che in Arabia Saudita sono stato invitato a parlare dalla più prestigiosa organizzazione culturale non-universitaria, la King Faysal Foundation, che ben sapeva del mio essere cristiano), oltre che della Turchia e dell'Iran che in passato ho visitato varie volte per motivi inizialmente turistici e poi di lavoro (congressi, conferenze, convegni). Sarebbe però come discutere della libertà religiosa e delle sue limitazioni in Europa, o nella stessa Italia, con forme più o meno gravi di attrito e finanche di crimini contro le comunità religiose non cristiane (ebraiche e islamiche innanzi tutto) in Francia, Germania, nella stessa Italia, ecc. Ma è improponibile elevare l'osservazione a livello di Stati: la madre degli idioti... con quel che segue.
Il divieto di proselitismo, il suono delle campane, ecc. ci sono eccome ed è giusto ricordarlo. Non esiste invece (nella pratica, nella teoria sì) il divieto di costruzione di chiese o sinagoghe (vista l'esiguità delle comunità cristiane e di quelle israelitiche soprattutto, quasi tutti emigrate volontariamente o costrette a farlo dopo il 1948. In Egitto, nel quartiere di al-'Abbasiyya, dove fu edificata una grandiosa moschea (la Masjid al-Nur, la moschea della Luce), due anni dopo la fine dei lavori fu eretta un'enorme chiesa copta, con tanto di croce sovrastante la grandiosa cupola. Nessuno, neppure i Fratelli Musulmani, ebbe a reclamare. Del pari in Siria, dove la declinante comunità siriana vive in assoluta tranquillità, essendo anche coinvolta spesso nel governo (come capitava nel regime iracheno di Saddam). La qual cosa che non potrebbe, nella pratica, essere sempre affermata per quanto riguarda Israele, dove un paio d'anni fa, se non ricordo male, una piccola cittadina di 3.000 abitanti cristiani fu svuotata dalle violenze dei drusi, con la polizia israeliana - in genere assai efficiente con i Palestinesi, musulmani e cristiani - giunti a ristabilire la calma con un ritardo di più di 1 giorno. Potrei sensatamente dire che in Israele non esiste libertà di culto? Non credo proprio.
Insomma cosa intendo dire? Che non mancano episodi (sporadici ma non per questo trascurabili e di cui non parlare) d'intolleranza che, in area islamica, ha quasi sempre una matrice politica. Quando Bin Laden parla di "crociati e sionisti" dice un'evidente oscena idiozia ma è del tutto consonante con un diffuso sentimento che accomuna ancor oggi (ma quanto si sbagliano!) il Cristianesimo alla politica estera dell'Occidente. Dell'Occidente di Bush e di Blair, per intenderci. E talvolta anche certi nostri politici sembrano avvalorare questa confusione destituita di ogni fondamento, almeno dopo il Vaticano II. E, guarda, la stessa cosa è creduta anche in Africa. Nell'Africa nera persino, non solo musulmana. L'intolleranza quindi a mio parere (ma anche di tanti studiosi) ha matrici politiche, ideologiche, non religiose.
In conclusione penso che tutto questo di cui stiamo discettando possa essere legittimamente e sensatamente detto, ma non ti nascondo l'acuto timore che si possa dare la stura a una serie di idiozie razzistiche e del tutto destituite di senso scientifico sulle nostre pagine wikipediane. Su Wiki, ahinoi, questo succede spesso, come frutto malvagio dell'approssimazione di cui dsanno prova tanti giovan contributori, spesso del tutto ignoranti delle realtà storiche, culturali e sociali delle società umane, mossi solo dalla passione politica e idelogica: di un'ideologia, intendiamoci, raffazzonata e non di rado razzistica, attizzata da tanti media poco o punto informati (senza per questo pensare che la stampa scritta o parlata siaq un male, intendiamoci). Ne abbiamo avuto e ne abbiamo ogni giorno tantissimi esempi e temo che il nostro dibattito, di noi due cioè - civile, positivo, corretto, utile - possa essere facilmente fatto degenerare da sciocchi ignoranti che parlano senza collegare la bocca (o la tastiera) al cervello e a una minima accettabile conoscenza storica e storico-religiosa. Tutto qui. Scriviamo quindi, ma pesiamo le parole che, mai come in un'enciclopedia online, possono essere un'arma letale. E approfitto per rinnovarti i miei più sinceri (ma tra i miei "limiti" non c'è quello di essere "meno sincero": o sono sincero o taccio) attestati di stima e di simpatia, anche perché talora seguo altre tue discussioni sul Cristianesimo e sono quasi del tutto (dico "quasi" per cautela) concorde con quanto esponi e argomenti con grande maturità e intelligenza. Ciao. --Cloj 12:40, 8 ott 2006 (CEST)[rispondi]

Prego di non correggere "movimento delle Tanzimat" con "movimento del Tanzimat". A prescindere dal fatto che il termine turco significa "Riforme", anche il termine turco è femminile. Quindi si deve rispettare il genere anche nella preposizione articolata. Grazie. --Cloj 17:21, 11 giu 2007 (CEST)[rispondi]

Lewis e Stillman sono fonti senz'altro fonti sensate ma nel lemma risultavano alcuni errori (i Mamelucchi "eredi" degli schiavi d'età abbaside) e l'eccidio del 1860 di Damasco che, invece, è attribuibile senza alcun dubbio ai Drusi. Ho corretto, riproponendomi di integrare le notizia con altre fonti, non meno buone, della migliore letteratura scientifica. --Cloj 10:56, 13 giu 2007 (CEST)[rispondi]

Gli studiosi contemporanei[modifica wikitesto]

Scusate, leggendo il paragrafo non ho capito il seguente periodo: "Javed Ahmed Ghamidi scrive nel suo Mīzān che certe norme coraniche erano specificate, al di là di altre, solo per Maometto contro popoli a lui contemporanei coinvolti nelle guerre di conquista, e richiedevano sottomissione all'Islam ai politeisti dell'Arabia come condizione per l'esonero, e agli altri richiedevano la 'jizya' e la sottomissione all'autorità politica dei musulmani per evitare la condanna a morte e quale protezione militare." Quando si afferma come condizione per l'esonero a cosa ci si riferisce? I politeisti erano esonerati dalla conversione forzata in cambio della sottomissione?
Vi avviso che ho modificato il paragrafo, ma la parte riportata è come l'ho trovata io.--Alpi, Mandraccio, Albe, Libe e tanti altri... (msg) 13:31, 11 nov 2009 (CET)[rispondi]

La frase è quanto meno mal strutturata. Credo si parli di esonero da imposte di capitazione (jizya) e fondiarie (kharaj). I politeisti erano costretti a scegliere tra conversione e morte. Certo sarebbe meglio scrivere in un italiano più lineare e meno criptico. --Cloj 13:36, 11 nov 2009 (CET)[rispondi]

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