Campo di concentramento di Allach

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Campo di concentramento di Allach
campo di concentramento
Mappa del campo di Allach (in rosso), della BMW Flugmotorenwerk (in blu, oggi Monaco, Dachauer Str. 665+667) e dei campi di lavoro forzato e residenziali (in marrone). Da notare la baracca Sanitär (a destra, in rosso, oggi Monaco, Granatstr. 10).
Nome originaleKZ Außenlager Dachau-Allach
StatoBandiera della Germania Germania
Stato attualeBandiera della Germania Germania
CittàMonaco di Baviera
Coordinate48°12′54.77″N 11°29′29.29″E / 48.215214°N 11.49147°E48.215214; 11.49147
Attività22 febbraio 1943 - 30 aprile 1945
Industrie coinvolteBMW, Dyckerhoff, Sager & Woerner, Kirsch Sägemühle, Pumpel Lochhausen e Organizzazione Todt
Sottocampo diDachau
Detenuti17000
Vittime1800

Il campo di concentramento di Allach (noto anche come campo di concentramento di Monaco-Allach o di Dachau-Allach) è stato un campo di lavoro forzato istituito nel 1943 dalle SS nel sud della Germania.

Fornì la manodopera per le fabbriche di BMW[1], Dyckerhoff, Sager & Woerner, Kirsch Sägemühle, Pumpel Lochhausen e Organizzazione Todt.[2] Contò un massimo di 17.000 prigionieri nel 1945, più di 1.800 di loro giunsero alla morte. Fu il più grande sottocampo del sistema di campi di Dachau. Un altro sottocampo più piccolo, Allach Porcelain, alias Porzellan Manufaktur Allach, con circa 40 prigionieri, produceva manufatti in porcellana.[3][4]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

I sopravvissuti di Allach salutano l'arrivo delle truppe statunitensi.[5]

Il campo di lavoro fu istituito il 22 febbraio 1943 per far fronte alla carenza di manodopera nell'industria degli armamenti e delle costruzioni della Germania nazista. Il comandante del campo fu Josef Jarolin[6], mentre il controllo del campo fu affidato a circa 800 SS dell'unità Totenkopf.[2]

Prigionieri del campo[modifica | modifica wikitesto]

Ultimo edificio esistente del sottocampo Allach (barack Sanitär)
Lapide commemorativa posizionata su iniziativa del Comité International de Dachau nel maggio 1997.[7]

Nel campo i prigionieri furono divisi per sesso e tra ebrei e non ebrei. Il numero di prigionieri fu variabile nel tempo, solitamente si trovavano nel campo circa 3.000-4.000 uomini.[2]

Il numero crebbe quando Allach divenne una delle destinazioni delle molte marce della morte e degli altri trasporti dai campi di concentramento. Il campo femminile era molto meno numeroso, contava 200-300 persone. I prigionieri del campo non ebraico erano principalmente francesi, russi, polacchi, spagnoli, cechi e olandesi, oltre ai perseguitati razziali e agli oppositori tedeschi del regime.[2]

Le morti avvenute erano dovute alla crudeltà delle SS, alla malnutrizione e all'inadeguatezza dei servizi igienici: per la mancanza di igiene scoppiarono epidemie di dissenteria, tifo, tubercolosi e scabbia.

Lavoro in schiavitù[modifica | modifica wikitesto]

Fu il primo dei sette sottocampi che rifornivano di lavoratori in schiavitù la fabbrica di armamenti BMW[8], impiegati nella produzione e nella riparazione dei motori degli aerei BMW 801.[9] L'intero sottocampo, comprendente 31 baracche sfruttate per l'alloggio dei prigionieri, era circondato da un recinto elettrificato e sorvegliato da torri di guardia.

Liberazione del campo[modifica | modifica wikitesto]

I soldati statunitensi della 42ª Divisione di fanteria "Rainbow" entrarono nel campo il mattino del 30 aprile 1945, un giorno dopo la liberazione del campo principale di Dachau. Il 66º ospedale da campo, collegato alla 42ª Divisione della 7ª Armata degli Stati Uniti, fu spostato ad Allach per occuparsi della cura dei prigionieri malati.[2] Con la caduta del Terzo Reich si pose fine al problema di Allach: le fabbriche Allach furono chiuse nel 1945 e non furono mai più riaperte. Si conoscono i nomi e le origini di 1.800 prigionieri morti, anche se il numero reale è significativamente maggiore.

Le aziende MTU Aero Engines e MAN Nutzfahrzeuge attualmente producono nelle strutture della BMW Flugmotorenbau GmbH.

Nella cultura di massa[modifica | modifica wikitesto]

  • Nel libro How Dark the Heavens: 1400 Days in the Grip of Nazi Terror di Sidney Iwens, un sopravvissuto, viene descritta la liberazione del campo.[10]
  • Il filmato girato dall'operatore Gerzen della 7ª Armata degli Stati Uniti mostra alcune riprese della liberazione dei prigionieri.[11]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) BMW during the era National Socialist, su www.bmwgroup.com. URL consultato il 10 maggio 2024.
  2. ^ a b c d e Allach, su www.comiteinternationaldachau.com. URL consultato il 9 maggio 2024.
  3. ^ Edmund de Waal, Figurines in Dachau - Edmund de Waal on the Nazis’ love of porcelain, in The Guardian, 18 settembre 2015. URL consultato il 23 agosto 2023.
  4. ^ (EN) Dachau Concentration Camp, Allach, And The Plantation, su Third Reich Arts. URL consultato il 10 maggio 2024.
  5. ^ Collections Search - United States Holocaust Memorial Museum, su collections.ushmm.org. URL consultato il 10 maggio 2024.
  6. ^ nsdoku münchen - Beitrag, su www.nsdoku.de. URL consultato il 9 maggio 2024.
  7. ^ Albert Knoll e Sabine Schalm, Frühe Lager, Dachau, Emslandlager, in Wolfgang Benz, Barbara Distel (a cura di), Der Ort des Terrors, vol. 2, München, C. H. Beck, 2005, pp. 425–430, ISBN 3-406-52962-3.
  8. ^ (EN) wasyllymar2014, Dachau Concentration Camp Workers at Bavarian Motor Works (BMW) in München-Allach 1943, su BMW SLAVE LABOR, 8 luglio 2014. URL consultato il 10 maggio 2024.
  9. ^ Deportati BS, DACHAU – MÜNCHEN-ALLACH (BMW) - DEPORTATI BRESCIANI - ANED, su www.deportatibrescia.it, 24 febbraio 2020. URL consultato l'8 maggio 2024.
  10. ^ (EN) Sidney Iwens, How Dark the Heavens: 1400 Days in the Grip of Nazi Terror, Jonathan Kennell, 1990, ISBN 978-0-88400-147-8. URL consultato il 10 maggio 2024.
  11. ^ Collections Search - United States Holocaust Memorial Museum, su collections.ushmm.org. URL consultato il 10 maggio 2024.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

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