Esilio

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Gli esuli, opera di Josef Rolletschek (1899)

L'esilio è la lontananza, forzata o volontaria, dalla propria abitazione (vale a dire città, stato o nazione) a causa dell'esplicito rifiuto del permesso di farvi ritorno, se forzata, o per decisione propria, se volontaria. Si usa comunemente distinguere tra "esilio interno" (o "confino"), ovvero il reinsediamento forzato all'interno della propria nazione di residenza, e l'"esilio esterno", ovvero l'espulsione dal territorio della Patria con divieto di reingresso.

Napoleone Bonaparte in esilio sull'isola di Sant'Elena - opera del pittore Franz Josef Sandmann.

Il lemma exsilium (o exilium) indica l'allontanamento di un cittadino dalla propria città con relativa rinuncia alla comunione giuridica già goduta di fronte ai concittadini (da latino EX= fuori e SOLUM= suolo).

Nelle fonti romane si parla dell'esilio come di un'usanza rispetto alla quale il comportamento dell'esule può ritenersi l'esercizio di un diritto,[1] o come un mezzo da usarsi per sfuggire ad una pena[2], o come una pena inserita, in un certo momento, nel sistema punitivo romano[3].

Cerchiamo di chiarire, però, cosa fosse l'esilio per l'ordinamento romano prima di divenire una pena legislativa, e se l'andare in esilio fosse o meno un diritto.

Nel diritto greco (attico) risulta che all'origine dell'esilio ci sia sempre un delitto particolarmente grave, come ad esempio il parricidio, e solo successivamente esso si estese come pena per colpe politiche.

Con la legislazione di Dracone l'esercizio dell'esilio è l'esercizio di un diritto: si faceva divieto ai privati di uccidere l'omicida che avesse esercitato il diritto di sottrarsi, mediante l'esilio, alla pena di morte. Ad Atene l'accusato veniva lasciato in libertà fino al momento del processo ed egli poteva sfuggire alla condanna esiliandosi. L'esercizio di tale facoltà era consentito fino dopo la prima orazione dell'accusatore e l'esposizione da parte dell'accusato delle proprie ragioni difensive.[4]

Una simile usanza è attestata per Roma da Polibio, per i delitti capitali.“ Vige presso i romani un'usanza degna di lode e di menzione: dopo che è stata pronunciata una sentenza capitale, si concede al reo la facoltà di allontanarsi in volontario esilio. I condannati possono riparare a Napoli, Preneste, a Tivoli e in qualunque altra città federata.”[5]

L'esilio volontario portava a sottrarre un cittadino dalla pena capitale: il cittadino emigrato aveva una remissione completa di tale pena, ma veniva per sempre privato della facoltà di tornare in patria.

La natura dell'esilio è chiarita dalla sua funzione, la quale si fonda sull'idea di liberazione da una minaccia. Questa idea era diffusa sia nel mondo romano sia in quello greco[6].

L'exsilium nasce nell'ambito gentilizio: si andava in esilio in luoghi dove si sapeva di poter essere accolti in virtù di questi legami; era insomma un aspetto della solidarietà gentilizia. Con il sorgere dello stato patrizio-plebeo si pone il problema del mantenimento dell'istituto dell'exsilium in una struttura sociale e in un contesto politico diversi da quelli originari. Tale diritto fu, dunque, esteso a tutti i cittadini e non fu più mero appannaggio della gens.

Le formule sanzionatorie dell'exsilium appaiono caratterizzate in senso patrizio o plebeo, a seconda che si tratti del provvedimento di “aqua et ignis interdictio” : stabilita in luogo della pena di morte, ogni cittadino ebbe per essa divieto di fornire al condannato alimenti e alloggio. Poiché l'interdictio spinge l'interessato ad andare in esilio, è plausibile che già in età repubblicana si cominciasse a considerarlo non più come fuga di fronte alla minaccia di morte, bensì come una pena in sé e per sé. E già in età repubblicana potrebbe essersi costituita la dottrina che vede la perdita della cittadinanza romana come conseguenza diretta dell'interdictio. In ogni caso, Cicerone attribuisce la perdita di cittadinanza ad una precisa volontà da parte del cittadino[7].

Il diritto a mantenere o a rinunziare alla cittadinanza è inserito nel quadro dei diritti riconosciuti al civis romanus. Egli è dominus rispetto a tale ius, ed è proprio in questo che risiede la libertas di Roma, caratteristica che la differenzia dagli altri popoli. Il diritto a mantenere la cittadinanza, peraltro, è centrale nella Pro Balbo, orazione pronunciata da Cicerone nel 56 a. C. in difesa di un cittadino di Gades, (odierna Cadice) accusato di aver usurpato la cittadinanza romana. Cicerone ribadisce che l'attribuzione di tale diritto è un fatto privato, individuale, che non deve necessariamente coinvolgere tutta la comunità di origine, ma che invece riguarda la volontà del singolo. Sotto Augusto da quella pena venne poi a distinguersi la deportatio ovvero relegatio, fatta sovente in un'isola, che, togliendo all'esule romano la protezione dello ius civile (media capitis deminutio), assegnava al condannato un determinato soggiorno dentro la giurisdizione dei dominî di Roma. Anche la deportatio fu spesso detta exsilium e, ristabilita la pena di morte, fu considerata come la maggior pena dopo di questa, specialmente se perpetua; poteva anche essere inflitta a tempo.

Esilio personale

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Dante in esilio, opera di Domenico Petarlini (1865)

L'esilio è stato usato storicamente come una forma di punizione, in particolare per gli oppositori politici delle persone al potere. L'uso dell'esilio per scopi politici può talvolta rivelarsi utile per il governo in quanto impedisce agli esiliati di organizzarsi in patria o di diventare dei martiri.

L'esilio rappresenta una punizione severa, in particolare per quelli, come Ovidio o Du Fu, che vennero esiliati in regioni straniere o arretrate, tagliati fuori da tutte le opportunità della vita e separati da familiari e amici. Dante descrive il dolore dell'esilio nella Divina Commedia:

«... Tu lascerai ogne cosa diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l'arco de lo essilio pria saetta.
Tu proverai sì come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l'altrui scale...»

L'esilio si è ammorbidito, per certi versi, nel XIX e XX secolo, nei casi in cui gli esiliati sono stati ben accolti in altre nazioni, nelle quali hanno creato nuove comunità, o meno frequentemente, ritornando alla loro patria a seguito della caduta del regime che li aveva esiliati.

Governo in esilio

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Lo stesso argomento in dettaglio: Governo in esilio.

Durante un'occupazione straniera o un colpo di Stato, i membri del governo deposto possono trovare rifugio all'estero e formare un "governo in esilio".

Nazione in esilio

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Lo stesso argomento in dettaglio: Diaspora.
Una giovane esule italiana in fuga trasporta, insieme ai propri effetti personali, una bandiera tricolore (1945)

Esilio fiscale

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Un cittadino benestante che lascia la sua residenza per un luogo dotato di giurisdizione fiscale più favorevole, allo scopo di ridurre il proprio carico fiscale, viene detto "esiliato fiscale".

  1. ^ Polyb.6,14,17,Sall.Catil.51,40;
  2. ^ Cice. Pro Caeo. 32,100;
  3. ^ Paul. D 48,1,2 Marcian D 48,22,5;
  4. ^ Crifò, Giuliano "L'esclusione dalla città: altri studi sull'exsilium romano", Perugia, 1985;
  5. ^ Polyb. 6,14,7-8;
  6. ^ Crifò, Giuliano. "Lesclusione dalla città..";
  7. ^ S. Cagnazzi et al.(a cura di) "Scritti per Mario Pani", Bari:Edipuglia, 2011;
  • Crifò, Giuliano. “L'esclusione dalla città : altri studi sull'exsilium romano”, Perugia, 1985;
  • Pugliese, Giovanni - Sitzia, Francesco - Vacca, Letizia. “Istituzioni di diritto romano”, Padova : Piccin, 1986.
  • Cagnazzi, Silvana et al. (a cura di), “Scritti per Mario Pani”, Bari: Edipuglia, 2011.

Voci correlate

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