Crisi dei missili di Cuba: differenze tra le versioni

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La '''crisi dei missili di Cuba''', meno nota come '''crisi di ottobre''' ({{spagnolo|Crisis de Octubre}}) o '''crisi dei Caraibi''' ({{russo|Карибский кризис|Karibskij krizis}}), fu un confronto tra gli [[Stati Uniti d'America]] e l'[[Unione Sovietica]] in merito al dispiegamento di [[missile balistico|missili balistici]] sovietici a [[Cuba]] in risposta a quelli statunitensi schierati in [[Italia]] e [[Turchia]], in vicinanza della frontiera con l'[[URSS]]. L'episodio, avvenuto durante la [[presidenza di John Fitzgerald Kennedy]] è stato considerato uno dei momenti più critici della [[guerra fredda]] in cui si è arrivati più vicino a una [[guerra nucleare]].
La '''crisi dei missili di Cuba''', nota a [[Cuba]] come ''crisis de octubre'' (crisi di ottobre<ref>{{cita web|titolo=Discorso pronunciato dal presidente della Repubblica di Cuba, Fidel Castro Ruz, nella celebrazione del 40 Anniversario dell'Unione di Giovani Comunisti. Teatro Carlo Marx, 4 aprile 2002|url=http://www.cuba.cu/gobierno/discursos/2002/ita/f040402t.html|sito=CUBA.CU|accesso=8 settembre 2023}}</ref>) e in [[Russia]] come Карибский кризис (''Karibskij krizis'', crisi dei Caraibi<ref>{{cita news|titolo=A 50 anni dalla crisi dei missili di Cuba|url=https://it.rbth.com/articles/2012/10/16/a_50_anni_dalla_crisi_dei_missili_di_cuba_18221|pubblicazione=Russia Beyond|accesso=8 settembre 2023}}</ref>), fu una grave tensione politica e diplomatica tra [[Stati Uniti]] e [[Unione Sovietica]], occasionata dal dispiegamento di [[missile balistico|missili balistici]] sovietici in territorio cubano come risposta a quelli statunitensi schierati in Europa. L'episodio, avvenuto durante la [[presidenza di John Fitzgerald Kennedy|presidenza Kennedy]], fu uno dei momenti più critici della [[guerra fredda]] e più a rischio di innesco di un [[Guerra nucleare|conflitto nucleare]].


Come reazione alla fallita [[invasione della Baia dei Porci]] del 1961 e alla presenza di missili balistici statunitensi [[PGM-19 Jupiter|Jupiter]] nelle dieci basi in Italia e nelle cinque basi in Turchia, il ''leader'' sovietico [[Nikita Chruščёv]] decise di accettare la richiesta di Cuba di posizionare missili nucleari sull'isola al fine di scoraggiare una possibile futura invasione. L'accordo venne raggiunto durante un incontro segreto tra Chruščёv e [[Fidel Castro]] nel luglio 1962, e la realizzazione delle strutture di lancio dei missili venne avviata poco più tardi.
Reagendo alla fallita [[invasione della Baia dei Porci]] (1961) e all'installazione di missili [[PGM-19 Jupiter|Jupiter]] nelle dieci basi in [[Italia]] e nelle cinque in [[Turchia]], queste ultime presso la frontiera sovietica (1959), [[Nikita Chruščёv]] accettò la richiesta di Cuba di installare missili nucleari sull'isola per deterrenza contro una futura invasione statunitense. Chruščёv e [[Fidel Castro|Castro]] raggiunsero l'accordo in un incontro segreto, nel luglio 1962, e poco dopo fu intrapresa la costruzione delle rampe di lancio.


Anche se il [[Cremlino]] aveva negato la presenza di pericolosi missili sovietici a {{Converti|90|mi|km}} dalla [[Florida]], i sospetti vennero confermati quando un [[aereo spia]] [[Lockheed U-2]] dell'''[[United States Air Force]]'' produsse evidenti prove fotografiche della presenza di missili balistici a [[R-12 (missile)|medio raggio (R-12)]] e [[R-14|intermedi (R-14)]]. Gli Stati Uniti allestirono un blocco militare per impedire che ulteriori missili potessero giungere a Cuba, annunciando che non avrebbero consentito nuove consegne di armi offensive a Cuba e chiedendo che i missili già presenti sull'isola fossero smantellati e restituiti all'Unione Sovietica.
Benché il [[Cremlino]] negasse l'installazione di missili a {{Converti|90|mi|km}} dalla [[Florida]], i sospetti statunitensi furono confermati da un [[aereo spia]] [[Lockheed U-2]] della ''[[United States Air Force]]'', che fornì le prove fotografiche della presenza di missili a [[R-12 (missile)|medio raggio (R-12)]] e [[R-14|intermedi (R-14)]]. Gli Stati Uniti allestirono allora un blocco militare per impedire l'arrivo di nuovi missili a Cuba, annunciando che non avrebbero permesso altre consegne e chiedendo lo smantellamento e la restituzione all'Unione Sovietica dei missili già installati.


Dopo un lungo periodo di stretti negoziati venne raggiunto un accordo tra il [[presidente degli Stati Uniti|presidente statunitense]] [[John F. Kennedy]] e il presidente sovietico [[Nikita Chruščёv]]. Pubblicamente, i sovietici avrebbero smantellato le loro armi offensive a Cuba e le avrebbero riportate in patria, sotto verifica da parte delle [[Nazioni Unite]] e in cambio di una dichiarazione pubblica da parte statunitense di non tentare di invadere nuovamente Cuba. In segreto, gli Stati Uniti avrebbero anche acconsentito a smantellare tutti i [[PGM-19 Jupiter]], di loro fabbricazione, schierati in Italia e Turchia.
Dopo un lungo periodo di fitti negoziati, [[John F. Kennedy|Kennedy]] e Chruščёv giunsero a un compromesso. Ufficialmente i sovietici avrebbero smantellato le loro armi a Cuba e le avrebbero riportate in patria, sotto controllo delle [[Nazioni Unite]] e in cambio del pubblico impegno statunitense a non tentare una nuova invasione dell'isola. In segreto, gli Stati Uniti avrebbero anche acconsentito a smantellare i Jupiter in Italia e in Turchia.


Quando tutti i missili offensivi e i [[bombardieri|bombardieri leggeri]] [[Ilyushin Il-28]] vennero ritirati da Cuba, il blocco venne formalmente concluso il 21 novembre 1962. I negoziati tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica misero in evidenza la necessità di una rapida, chiara e diretta linea di comunicazione riservata e dedicata tra [[Washington]] e [[Mosca (Russia)|Mosca]]. Di conseguenza, venne realizzata la cosiddetta [[Linea rossa|linea rossa Mosca-Washington]]. Una serie di ulteriori accordi ridusse le tensioni tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica per diversi anni.
Quando tutti i missili e i [[bombardieri|bombardieri leggeri]] [[Ilyushin Il-28]] furono ritirati, gli Stati Uniti tolsero il blocco (21 novembre 1962). La vicenda mise in evidenza la necessità di una rapida, chiara e diretta linea di comunicazione riservata tra [[Washington]] e [[Mosca (Russia)|Mosca]], e condusse infine all'istituzione della [[linea rossa]]. Una serie di accordi ulteriori permise di sopire le tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica per diversi anni.


== Contesto ==
== Contesto ==

Versione delle 09:18, 8 set 2023

Crisi dei missili di Cuba
parte della guerra fredda
Carta strategica con indicazione del raggio d'azione potenziale dei missili sovietici a Cuba
Data14 - 28 ottobre 1962
LuogoCuba
CausaInstallazione da parte dell'Unione Sovietica di missili MRBM e IRBM a Cuba, e scoperta dell'allestimento delle basi da parte di aerei Lockheed U-2 degli Stati Uniti.
EsitoCrisi risolta dopo trattative, scongiurando il pericolo di guerra nucleare tra le due superpotenze
Modifiche territorialiRitiro dei missili sovietici da Cuba
Ritiro dei missili statunitensi dalla Turchia e dall'Italia
Promessa statunitense di non invadere l'isola
Schieramenti
Bandiera degli Stati Uniti Stati Uniti
Bandiera della Turchia Turchia
Bandiera dell'Italia Italia
Bandiera del Regno Unito Regno Unito

Supporto da:

Bandiera della NATO NATO (eccetto Francia)
Bandiera dell'Unione Sovietica Unione Sovietica
Bandiera di Cuba Cuba

Supporto da:

Patto di Varsavia (eccetto Albania e Romania[1])
Comandanti
Perdite
1 aereo spia distrutto
1 morto
nessuno
Voci di crisi presenti su Wikipedia

La crisi dei missili di Cuba, nota a Cuba come crisis de octubre (crisi di ottobre[2]) e in Russia come Карибский кризис (Karibskij krizis, crisi dei Caraibi[3]), fu una grave tensione politica e diplomatica tra Stati Uniti e Unione Sovietica, occasionata dal dispiegamento di missili balistici sovietici in territorio cubano come risposta a quelli statunitensi schierati in Europa. L'episodio, avvenuto durante la presidenza Kennedy, fu uno dei momenti più critici della guerra fredda e più a rischio di innesco di un conflitto nucleare.

Reagendo alla fallita invasione della Baia dei Porci (1961) e all'installazione di missili Jupiter nelle dieci basi in Italia e nelle cinque in Turchia, queste ultime presso la frontiera sovietica (1959), Nikita Chruščёv accettò la richiesta di Cuba di installare missili nucleari sull'isola per deterrenza contro una futura invasione statunitense. Chruščёv e Castro raggiunsero l'accordo in un incontro segreto, nel luglio 1962, e poco dopo fu intrapresa la costruzione delle rampe di lancio.

Benché il Cremlino negasse l'installazione di missili a 90 miglia (140 km) dalla Florida, i sospetti statunitensi furono confermati da un aereo spia Lockheed U-2 della United States Air Force, che fornì le prove fotografiche della presenza di missili a medio raggio (R-12) e intermedi (R-14). Gli Stati Uniti allestirono allora un blocco militare per impedire l'arrivo di nuovi missili a Cuba, annunciando che non avrebbero permesso altre consegne e chiedendo lo smantellamento e la restituzione all'Unione Sovietica dei missili già installati.

Dopo un lungo periodo di fitti negoziati, Kennedy e Chruščёv giunsero a un compromesso. Ufficialmente i sovietici avrebbero smantellato le loro armi a Cuba e le avrebbero riportate in patria, sotto controllo delle Nazioni Unite e in cambio del pubblico impegno statunitense a non tentare una nuova invasione dell'isola. In segreto, gli Stati Uniti avrebbero anche acconsentito a smantellare i Jupiter in Italia e in Turchia.

Quando tutti i missili e i bombardieri leggeri Ilyushin Il-28 furono ritirati, gli Stati Uniti tolsero il blocco (21 novembre 1962). La vicenda mise in evidenza la necessità di una rapida, chiara e diretta linea di comunicazione riservata tra Washington e Mosca, e condusse infine all'istituzione della linea rossa. Una serie di accordi ulteriori permise di sopire le tensioni tra Stati Uniti e Unione Sovietica per diversi anni.

Contesto

Guerra fredda

Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra fredda.
I tre mondi durante la guerra fredda: in blu il blocco occidentale, in rosso il blocco orientale, in grigio i paesi non allineati

Con la capitolazione della Germania nazista del maggio 1945 e la resa del Giappone dell’agosto successivo terminò la seconda guerra mondiale. Gli alleati usciti vincitori erano composti da stati molto diversi tra di loro: se Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti erano stati fondati su un sistema multipartitico con libere elezioni democratiche e dotato di un’economia di mercato basata sul modello capitalista liberale, l’Unione Sovietica era un regime autoritario, monopartitico con economia pianificata di tipo comunista basata sull'ideologia del marxismo-leninismo.[4]

In breve le differenze sfociarono in forti tensioni che dettero origine alla cosiddetta "guerra fredda", così denominata perché non vi furono combattimenti diretti su larga scala, bensì si trattò di un conflitto basato soprattutto sulla lotta ideologica e geopolitica per l'influenza globale delle due superpotenze. A parte lo sviluppo di un arsenale nucleare e il dispiegamento militare convenzionale, la lotta per il dominio fu espressa attraverso mezzi indiretti, come la guerra psicologica, le campagne di propaganda, lo spionaggio, gli embarghi di vasta portata. Il mondo si divise in un "blocco occidentale" guidato dagli Stati Uniti e da altre nazioni del Primo Mondo, soprattutto dell'Europa occidentale, e da un "blocco orientale" diretto dall'Unione Sovietica e dal suo Partito Comunista. Accanto ad essi si formò il movimento dei paesi non allineati. Parte dei paesi membri del blocco occidentale erano riuniti in una alleanza militare difensiva nota come Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del Nord (NATO) mentre alcuni del blocco orientale a loro volta si erano uniti nel Patto di Varsavia.

Il mondo, quindi, si trovava diviso da una, secondo le parole dell'ex primo ministro britannico Winston Churchill, «cortina di ferro fatta calare sull'Europa da Stettino sul Baltico a Trieste sull'Adriatico».

Relazioni USA-URSS

Nikita Chruščëv e John F. Kennedy, a Vienna, nel giugno 1961

Quando Kennedy si candidò alla presidenza statunitense nel 1960, uno dei principali temi della sua campagna elettorale fu il presunto "divario missilistico" (missile gap) del suo paese rispetto ai sovietici. In realtà, a quel tempo gli Stati Uniti superavano l'Unione Sovietica con ampio margine, margine che sarebbe poi solamente aumentato nel tempo. Nel 1961, i sovietici potevano disporre di solo quattro missili balistici intercontinentali (ICBM) R-7 Semërka, mentre nell'ottobre dell'anno successivo ne potevano avere alcune dozzine.[5]

Gli Stati Uniti, d'altra parte, potevano contare su 170 missili balistici intercontinentali già operativi mentre l'industria bellica ne stava rapidamente costruendo altri. Inoltre, disponevano anche di otto sottomarini di classe George Washington e Ethan Allen armati con 16 missili SLBM UGM-27 Polaris, ciascuno con una gittata di 4600 km e in grado di trasportare una testata nucleare. Il presidente sovietico Chruščëv contribuì a ampliare la percezione di un divario missilistico quando vantò pubblicamente che i sovietici stavano costruendo missili «come salsicce», ma il numero e le capacità missilistiche sovietiche non erano neanche lontanamente vicini alle sue affermazioni. L'Unione Sovietica disponeva di missili balistici a medio raggio in discreta quantità, circa 700, ma erano inaffidabili e imprecisi. Gli Stati Uniti avevano, inoltre, un notevole vantaggio sul numero totale di testate nucleari (27000 contro 3600) e nella tecnologia necessaria per garantire un lancio preciso. Inoltre, gli statunitensi erano superiori anche riguardo alle capacità difensive missilistiche e sulle forze di mare e di aria; i sovietici, tuttavia, avevano un vantaggio di due a uno nelle forze di terra convenzionali, soprattutto per quanto riguardava i cannoni da campo e i carri armati, in particolare nel teatro europeo.[5][6][7][8]

D'altro canto Chruščëv riteneva il presidente Kennedy un debole, cosa che per lui fu confermata dalla flebile risposta data durante la crisi di Berlino del 1961 e, soprattutto, in occasione della costruzione del muro di Berlino da parte della Germania dell'Est, iniziata il 13 agosto dello stesso anno, per impedire ai suoi cittadini di emigrare in Occidente.[9]

Rapporti USA-Cuba

Piano dell'invasione della Baia dei Porci

Nel gennaio del 1959 il Movimento del 26 luglio guidato da Fidel Castro riuscì a scacciare dall'isola l'impopolare dittatore Fulgencio Batista che gli Stati Uniti avevano precedentemente sostenuto.[10]

Soltanto dieci mesi dopo la rivoluzione, la statunitense Central Intelligence Agency (CIA) sviluppò un piano per un'azione paramilitare contro Cuba. La CIA ha reclutato agenti sull'isola per compiere atti di terrorismo e sabotaggio, uccidere civili e causare danni economici.[11] L'amministrazione Kennedy, in carica dal 20 gennaio 1961, fu pubblicamente imbarazzata dal fallimento dell'invasione della Baia dei Porci nell'aprile 1961 che prevedeva un'azione da parte di esuli cubani addestrati dalla CIA. A tal proposito l'ex presidente Eisenhower disse a Kennedy che «il fallimento della Baia dei Porci incoraggerà i sovietici a fare qualcosa che altrimenti non farebbero». Il fallimento destò nel primo segretario sovietico Nikita Chruščëv e nei suoi consiglieri l'impressione che Kennedy fosse indeciso e «troppo giovane, intellettuale, non ben preparato per prendere decisioni in situazioni di crisi... troppo intelligente e troppo debole».[12]

In seguito al fallimento, gli Stati Uniti intensificarono le attività di destabilizzazione del governo cubano mediante azioni segrete organizzate dalla CIA nell'ambito dell'operazione Mongoose.[13][14] Nel gennaio 1962, il generale dell'aeronautica statunitense Edward Lansdale descrisse i piani per rovesciare il governo di Castro in un rapporto top secret indirizzato a Kennedy. Agenti della CIA o "percettori" della Special Activities Division dovevano essere infiltrati in Cuba per effettuare sabotaggi e organizzare attività sovversive.[15] Nel febbraio 1962 gli Stati Uniti imposero un embargo contro Cuba[14] e Lansdale presentò un calendario top-secret di 26 pagine per l'attuazione del rovesciamento del governo cubano, confidando in operazioni di guerriglia che sarebbero dovute incominciare tra agosto e settembre. Secondo i piani, «l'inizio della rivolta e il rovesciamento del regime comunista» sarebbero avvenuti nelle prime due settimane di ottobre.[15] In ogni caso, l'amministrazione Kennedy non pianificò mai di invadere l'isola a meno che non si fosse presentata un'oggettiva minaccia. Tuttavia l'atteggiamento statunitense, come lo stesso McNamara ammise più tardi, fece pensare il contrario ai cubani.[16]

Pertanto, la campagna di destabilizzazione e la paura di un'invasione, furono fattori cruciali che portarono il governo cubano a accettare il dispiegamento di missili nucleari sovietici sul proprio territorio.[17]

Rapporti URSS-Cuba

Che Guevara (a sinistra) e Fidel Castro (a destra) nel 1961

Alla fine del 1961, Fidel Castro inviò all'Unione Sovietica richieste per maggiori forniture di missili antiaerei SA-2. Non avendo avuto riscontri positivi, Castro iniziò a criticare i sovietici per mancanza di «audacia rivoluzionaria» e intraprese una dialogo con la Cina per ottenere un'assistenza economica. Nel marzo 1962 arrivò ad ordinare l'espulsione di Anibal Escalante e dei suoi compagni filosovietici dal Partito Comunista di Cuba. Questa vicenda, insieme alla possibilità di un'invasione statunitense dell'isola, allarmò la leadership sovietica che in aprile decise di cambiare idea fornendo ulteriori missili SA-2 oltre a inviare un reggimento di truppe regolari.[18]

Lo storico Timothy Naftali ha affermato che l'allontanamento di Escalante è stato un fattore determinante riguardo la decisione sovietica di collocare missili nucleari a Cuba. Secondo Naftali, i responsabili della politica estera di Mosca erano preoccupati che la rottura di Castro con Escalante prefigurasse una deriva cubana verso la Cina e quindi cercarono di consolidare l'influenza sovietica attraverso la l'installazione di basi missilistiche.[19]

Preludio

Decisione di schierare i missili

Missili balistici a raggio intermedio sovietici R-14. Alcuni di essi vennero schierati a Cuba.

Nel maggio 1962, Chruščëv pensò di contrastare il crescente vantaggio statunitense nello sviluppo e nel dispiegamento di missili strategici collocando missili a raggio intermedio a Cuba, nonostante i dubbi dell'ambasciatore sovietico all'Avana, Alexandr Ivanovich Alexeyev, che sosteneva che Castro non avrebbe accettato il dispiegamento dei missili.[20] Chruščëv si trovava ad affrontare una difficile situazione strategica in cui gli Stati Uniti vantavano un sostanziale vantaggio nel caso di cosiddetto "primo colpo nucleare". Nel 1962, i sovietici possedevano solo 20 missili balistici intercontinentali in grado di trasportare testate nucleari sul territorio statunitense partendo dall'interno dell'Unione Sovietica. Inoltre, la scarsa precisione e affidabilità dei missili sollevava seri dubbi sulla loro efficacia.[21]

Migliore era la situazione sui missili balistici a medio raggio in grado di colpire dal territorio sovietico l'Europa occidentale e gran parte dell'Alaska ma non gli Stati Uniti; Graham Allison, direttore del Belfer Center for Science and International Affairs dell'Università di Harvard, ha evidenziato di come in quegli anni «l'Unione Sovietica non poteva correggere lo squilibrio nucleare dispiegando nuovi missili balistici intercontinentali sul proprio territorio. Per far fronte alla minaccia aveva pochissime opzioni. Spostare le armi nucleari disponibili in luoghi da cui potevano raggiungere obiettivi americani era una di queste».[22]

Una seconda ragione per cui i missili sovietici furono schierati a Cuba era perché Chruščëv era intenzionato a portare Berlino Ovest, controllata da americani, britannici e francesi, all'interno della Germania dell'Est comunista, nell'orbita sovietica. Chruščëv riteneva che se gli Stati Uniti non avessero fatto nulla per il dispiegamento di missili a Cuba, egli avrebbe potuto anche cacciarli da Berlino usando detti missili come deterrente alle eventuali contromisure occidentali. Se gli Stati Uniti avessero cercato di negoziare con i sovietici dopo essere venuti a conoscenza dei missili, avrebbe potuto scambiare i missili con Berlino Ovest. Poiché Berlino era strategicamente più importante di Cuba, lo scambio sarebbe stato una sua vittoria.[23]

Una base di lancio di missili PGM-19 Jupiter simile a quelle presenti a quel tempo in Turchia

In terzo luogo, l'Unione Sovietica temeva le continue minacce degli Stati Uniti su Cuba. Una possibile caduta del governo rivoluzionario dell'isola avrebbe significato una fortissima debacle per il socialismo. Quindi, il dispiegamento dei missili avrebbe rappresentato un formidabile deterrente a qualsiasi progetto di invasione statunitense.[24]

Un altro dei principali motivi per cui Chruščëv pianificò di installare i missili su Cuba fu per «pareggiare il campo di gioco» con l'evidente minaccia nucleare americana. L'America aveva il vantaggio in quanto poteva disporre di missili PGM-19 Jupiter dislocati in Turchia in grado di distrugge l'Unione Sovietica prima che questa avesse la possibilità di reagire. Con la collocazione di missili nucleari a Cuba, Chruščëv avrebbe stabilito la mutua distruzione assicurata, il che significava che se gli Stati Uniti avessero deciso di lanciare un attacco nucleare contro l'Unione Sovietica, quest'ultima sarebbe stata in grado di rispondere con un analogo attacco nucleare di rappresaglia sul territorio statunitense.[25]

Infine, posizionare missili nucleari su Cuba sarebbe stata una prova della determinazione dell'URSS a proteggere i paesi dell'America Latina e del Terzo Mondo che come Cuba avevano da poco abbracciato la strada comunista.[24]

Dispiegamento dei missili

Nikita Chruščëv

All'inizio del 1962, un gruppo di specialisti militari e missilistici sovietici accompagnò una delegazione agricola all'Avana ottenendo un incontro con presidente Fidel Castro. Il governo cubano temeva che gli Stati Uniti avrebbero nuovamente tentato di invadere Cuba e quindi si dimostrarono felici dell'idea di installare missili nucleari sull'isola. Tuttavia, un'altra fonte racconta che Castro si oppose al progetto poiché temeva che lo avrebbe fatto sembrare un burattino in mani sovietiche sebbene riconoscesse la loro funzione positiva per gli interessi dell'intero movimento socialista. Inoltre, la fornitura avrebbe incluso anche armi tattiche a corto raggio (con una portata di 40 km, utilizzabili solo contro navi da guerra) che avrebbe costituito un "ombrello nucleare" contro eventuali attacchi all'isola.[26][27][28]

La definitiva scelta di installare segretamente missili nucleari strategici a Cuba venne presa a maggio congiuntamente da Chruščëv e Castro. I sovietici mantennero la segretezza scrivendo a mano i loro piani che furono poi approvati dal maresciallo dell'Unione Sovietica Rodion Malinovsky il 4 luglio successivo e dallo stesso Chruščëv tre giorni dopo.[29]

Fin dall'inizio, l'operazione comportò una elaborata strategia di depistaggi e negazioni. Tutta la pianificazione e la preparazione per il trasporto e il dispiegamento dei missili avvennero nella massima segretezza, con solo pochissime persone che conoscevano l'esatta natura delle operazioni. Le stesse truppe incaricate della missione ricevettero indicazioni volutamente sbagliate quando gli fu detto che sarebbero state mandate verso una regione dal clima freddo e quindi equipaggiate con scarponi da sci, indumenti pesanti e altre attrezzature invernali. Il nome in codice sovietico fu Operazione Anadyr'. Il fiume Anadyr sfocia nel Mare di Bering nel golfo omonimo mentre Anadyr è anche la capitale del circondario autonomo della Čukotka e una base di bombardieri nella regione dell'estremo oriente.[30][31]

Un missile sovietico R-12 fotografato sulla Piazza Rossa

I tecnici missilistici giunsero a luglio sotto copertura. Alla fine si raggiunse la presenza di 43000 truppe straniere.[32] Il maresciallo capo dell'artiglieria Sergei Biryuzov, capo delle forze missilistiche sovietiche, guidò una squadra di ricognizione che visitò Cuba e riferì a Chruščëv che i missili sarebbero stati nascosti e mimetizzati dalle palme.[5]

Già nell'agosto 1962, gli Stati Uniti sospettavano che i sovietici costruissero strutture missilistiche a Cuba. Durante quel mese, i servizi di intelligence raccolsero informazioni sugli avvistamenti da parte di osservatori a terra di caccia MiG-21 e bombardieri leggeri Ilyushin Il-28 di fabbricazione sovietica mentre gli aerei spia U-2 riscontrarono la presenza di installazioni di missili terra-aria S-75 Dvina in otto diverse località.[33] Il direttore della CIA John McCone si insospettì in quanto l'invio di missili antiaerei a Cuba, «aveva senso solo se Mosca intendeva usarli per difendere una base per missili balistici puntati sugli Stati Uniti». Il 10 agosto scrisse un memorandum a Kennedy in cui avvertiva della possibilità che i sovietici si stessero preparando a installare missili.[5][34] Il 30 agosto 1962 Che Guevara si recò in Unione Sovietica per firmare l'accordo finale riguardante il dispiegamento di missili a Cuba; la visita fu intensamente monitorata dalla CIA. Mentre si trovava in Unione Sovietica, Guevara esortò Chruščëv a rendere pubblico l'accordo sui missili, ma Chruščëv insistette sulla totale segretezza e giurò il sostegno dell'Unione Sovietica se gli americani avessero scoperto i missili.[26][35]

Con le importanti elezioni del Congresso previste per novembre, la crisi si intrecciò nella politica americana. Il 31 agosto, il senatore Kenneth Keating avvertì il Senato che l'Unione Sovietica stesse «con ogni probabilità» costruendo una base missilistica a Cuba accusando l'amministrazione Kennedy di restare inerte davanti a una grave minaccia per gli Stati Uniti.[36][37] Il generale dell'aeronautica statunitense Curtis LeMay presentò a Kennedy un piano di bombardamento pre-invasione a settembre mentre voli di spionaggio e schermaglie perpetrate dalle forze statunitensi alla base navale di Guantánamo furono oggetto di continue denunce diplomatiche cubane al governo degli Stati Uniti.[38]

Raggio di azione dei missili R-12, R-14 e dei bombardieri Ilyushin Il-28 dispiegati a Cuba

La prima partita di missili sovietici R-12 arrivò la notte dell'8 settembre, seguita da una seconda il 16 settembre. L'R-12 era un missile balistico a medio raggio, in grado di trasportare una testata nucleare.[39]

Il 7 ottobre, il presidente cubano Osvaldo Dorticós Torrado in un discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite disse: «Se... saremo attaccati, ci difenderemo. Ripeto, abbiamo mezzi sufficienti per difenderci; abbiamo infatti le nostre inevitabili armi, le armi, che avremmo preferito non acquisire e che non desideriamo impiegare».[40] Il 10 ottobre, in un altro discorso al Senato, il senatore Keating ha ribadito il suo precedente avvertimento del 31 agosto affermando che «è iniziata la costruzione di almeno una mezza dozzina di siti di lancio per missili tattici a raggio intermedio».[41]

La leadership sovietica riteneva che Kennedy, una volta venuto a conoscenza dei missili, gli avrebbe accettati come un fatto compiuto e evitato il confronto diretto.[42] L'11 settembre, l'Unione Sovietica avvertì pubblicamente che un attacco statunitense a Cuba o alle navi sovietiche che trasportavano rifornimenti all'isola avrebbe significato una risposta militare.[38] Contestualmente continuarono a gettare fumo su quello che stava accadendo a Cuba negando ripetutamente che le armi che portavano fossero di natura offensiva. Il 7 settembre, l'ambasciatore sovietico negli Stati Uniti Anatolij Dobrynin aveva assicurato l'ambasciatore degli Stati Uniti alle Nazioni Unite Adlai Stevenson che l'Unione Sovietica stesse fornendo a Cuba solo armi difensive. Sempre l'11 settembre, l'Agenzia russa di informazione telegrafica (TASS) dichiarò che l'URSS non avesse alcuna necessità o intenzione di introdurre missili nucleari offensivi a Cuba. Il 13 ottobre, Dobrynin negò ancora una volta che i sovietici intendessero installare armi offensive a Cuba. Cinque giorni più tardi, il funzionario dell'ambasciata sovietica Georgy Bolshakov consegnò al presidente Kennedy un messaggio personale di Chruščëv in cui rassicurava che non sarebbero state dispiegate armi offensive sull'isola di Cuba.[34][43]

Crisi

Scoperta dei missili

Una fotografia scattata il 14 ottobre 1962 sui cieli di Cuba che mostra l'installazione dei missili
Missili sovietici a Cuba fotografati da un volo di un U-2

Il piano originale prevedeva l'installazione a Cuba di quaranta lanciatori; la popolazione dell'isola notò tempestivamente l'arrivo e il dispiegamento dei missili mentre centinaia di segnalazioni in proposito raggiunsero Miami. L'intelligence statunitense ricevette innumerevoli rapporti, molti di dubbia qualità o addirittura ridicoli, la maggior parte dei quali venne liquidata come descrizione di missili difensivi.[44][45][46]

Solo cinque rapporti preoccuparono gli analisti in quanto descrivevano grandi camion che attraversavano le città di notte trasportando oggetti cilindrici molto lunghi ricoperti da teli e che non erano in grado di compiere alcune curve senza indietreggiare e manovrare mentre si riteneva che i trasportatori di missili difensivi potessero effettuare tali curve senza eccessive difficoltà.[47]

Sin dalla fallita invasione della Baia dei Porci gli Stati Uniti avevano iniziato una fitta sorveglianza di Cuba mediante voli dell'aereo spia Lockheed U-2.[48] Tuttavia questi voli vennero fermati momentaneamente a seguito di alcuni incidente: il 30 agosto un U-2 operato dallo Strategic Air Command dell'aeronautica statunitense si trovò a sorvolare per errore l'isola di Sakhalin nell'estremo oriente sovietico mentrenove giorni dopo un altro U-2 operato da Taiwan venne abbattuto sopra la Cina occidentale a causa di un missile terra-aria S-75 destando preoccupazione circa una sorte analoga per i voli della che avvenivano sopra Cuba.[49][50] A fronte di ciò il 10 settembre, in un incontro con i membri del Committee on Overhead Reconnaissance (COMOR), il segretario di Stato Dean Rusk e il consigliere per la sicurezza nazionale McGeorge Bundy decisero di limitare ulteriori voli dell'U-2 sullo spazio aereo cubano. La conseguente mancanza di copertura sull'isola per le successive cinque settimane divenne nota agli storici come "Photo Gap".[51] Successivi tentativi di ricorrere ai satellite spia Corona non ebbero successo a causa delle nuvole e foschia.[5]

Nel settembre 1962, gli analisti della Defense Intelligence Agency (DIA) notarono che i siti missilistici terra-aria cubani erano disposti secondo uno schema simile a quelli usati dall'Unione Sovietica per proteggere le sue basi ICBM, portando la stessa DIA a fare pressioni per la ripresa dei voli degli U-2.[52] Le missioni di ricognizione furono nuovamente autorizzate il 9 ottobre ma le cattive condizioni meteorologiche impedirono agli aerei di volare. La prima prova prova fotografica dell'installazione dei missili venne ottenuta il 14 ottobre grazie ad un volo U-2 pilotato dal maggiore Richard Heyser che scattò 928 immagini su un percorso selezionato dagli esperti della DIA, catturando le immagini di un sito di lancio per missili R-12 in via di costruzione presso San Cristóbal, provincia di Pinar del Río (ora nella provincia di Artemisa), nella parte occidentale di Cuba.[53][54]

16 ottobre: Kennedy viene informato

Il presidente Kennedy incontra il generale Curtis LeMay e i piloti da ricognizione che hanno volato nelle missioni cubane. Il terzo da sinistra è il maggiore Richard Heyser l'autore delle foto in cui sono stati identificati per la prima volta i missili a Cuba.

Il 15 ottobre, il National Photographic Interpretation Center (NPIC) della CIA esaminò le fotografie scattate dell'U-2 identificando la presenza di missili balistici a medio raggio. Ciò fu possibile in parte grazie alle informazioni fornite da Oleg Vladimirovič Pen'kovskij, un agente doppiogiochista del GRU che lavora per la CIA e l'MI6. Sebbene non avesse fornito rapporti diretti sugli schieramenti missilistici sovietici a Cuba, i dettagli tecnici delle installazioni missilistici sovietiche giunte in occidente tramite lui nei mesi e negli anni precedenti alla crisi, aiutarono gli analisti dell'NPIC a identificare correttamente i missili nelle fotografie.[55]

La sera stessa la CIA informò il Dipartimento di Stato e alle 20:30 EDT il consigliere per la sicurezza nazionale McGeorge Bundy scelse di aspettare fino al mattino successivo per comunicare l'informazione al presidente John Fitzgerald Kennedy mentre il segretario della difesa Robert McNamara venne informato introno a mezzanotte. Così, la mattina del 16 ottobre Bundy incontrò Kennedy e gli mostrò le fotografie scattate durante il volo dell'U-2 mettendolo al corrente sull'interpretazione fornita dalla CIA.[56] Convinto che questi missili potessero rappresentare una seria minaccia agli Stati Uniti, il presidente informò della situazione anche il fratello e procuratore generale Robert Kennedy e nel tardo pomeriggio dello stesso giorno convocò una riunione invitando nove membri del Consiglio di sicurezza nazionale e altri cinque consiglieri chiave creando un "organo decisionale" che successivamente prenderà il nome ufficiale di Executive Committee of the National Security Council (EXCOMM).[57] Senza informare i membri del comitato, il presidente Kennedy registrò tramite un microfono nascosto tutti i loro incontri; tali registrazioni vennero successivamente trascritte e rese pubbliche rappresentando una delle fonti più importanti per la ricostruzione della crisi.[58] Knennedy, inoltre, diede ordine di intensificare la sorveglianza aerea su Cuba e di mantenere segreta la crisi al pubblico, tanto che i movimenti dei membri dell'EXCOMM e le loro riunioni avvennero in modo da non destare sospetti nei giornalisti.[59]

Analisi delle possibili opzioni

Una riunione dell'EXCOMM, al centro Kennedy
Mappa dei servizi di intelligence statunitensi che mostra la stima dei siti militari sovietici a Cuba

Dopo che furono mostrate le prove fotografiche dei lavori per l'installazione della rampe di lancio a San Cristobal la prima riunione dell'EXCOMM proseguì con la valutazione delle possibili linee d'azione. Poiché fino a poco tempo prima i servizi di intelligence avevano escluso la possibilità di un'imminente dispiegamento di missili nucleari a Cuba, gli Stati Uniti non disponevano al momento di un piano per gestire la situazione, quindi si dovettero vagliare tutte le possibilità:[22]

  • Non fare nulla: la vulnerabilità statunitense ai missili sovietici non era una novità.
  • Diplomazia: ricorrere alla pressione diplomatica per convincere l'Unione Sovietica a rimuovere i missili.
  • Approccio segreto: offrire a Castro la scelta di rompere i rapporti con i sovietici o di essere invaso.
  • Invasione: invasione completa di Cuba e rovesciamento di Castro.
  • Attacco aereo: utilizzo delle forze aeree statunitensi per attaccare tutti i siti missilistici conosciuti.
  • Blocco: utilizzo delle forze di mare degli Stati Uniti per impedire a qualsiasi missile di giungere sull'isola.

Tutti i presenti concordarono che i missili dovevano, in un modo o in un altro, essere eliminati e dopo i primi dibattiti sembrò prevalere l'ipotesi di un attacco aereo sulle basi in costruzione considerata un'azione legittima.[60][61] Tuttavia ben presto i militari informarono l'EXCOMM della improbabilità di riuscire a distruggere tutte le basi e che agli attacchi aerei, preventivati per durare circa cinque giorni, sarebbe poi molto probabilmente necessario far seguire un'invasione di tutta l'isola comportando certamente alte perdite anche di personale sovietico. A fronte di ciò l'interrogativo si spostò sulle possibili risposte da parte di Mosca. A tal proposito McNamara mise in guardia i presenti circa possibili risposte su Berlino ma anche in qualsiasi altra parte del mondo come Iran e Corea. D'altro canto il segretario di Stato Dean Rusk paventò possibili reazioni ad un attacco da parte dei partiti comunisti dell'America Latina che potrebbero cogliere l'occasione per rovesciare alcuni governi amici. Inoltre, il rischio di azioni ostili su paesi NATO senza che questi fossero stati informati in precedenza della situazione avrebbe potuto, ragionò Rusk, mettere in seria crisi l'Alleanza Atlantica.[62]

Oltre che sulle possibili azioni, le discussioni compresero anche il reale significato di quei missili. La maggior parte dei membri dell'EXCOMM concordò che il dispiegamento a Cuba non avesse un valore strategico così determinate nell'equilibrio militare strategico strategico ma che questi avrebbero influenzato l'equilibrio politico.[63] Infatti, meno di un mese prima, Kennedy aveva promesso esplicitamente al popolo americano che «se Cuba avesse avuto la capacità di compiere azioni offensive contro gli Stati Uniti... gli Stati Uniti avrebbero agito».[64] Inoltre, la credibilità del paese tra i suoi alleati e il popolo sarebbe uscita fortemente danneggiata se l'Unione Sovietica avesse potuto dare prova di sembrare di essere in grado di correggere lo squilibrio strategico dispiegando missili a Cuba. Dopo la crisi, Kennedy spiegò che «la cosa avrebbe mutato politicamente l'equilibrio delle forze. O, per lo meno, ne avrebbe avuto l'apparenza, e le apparenze contribuiscono a formare la realtà».[65]

Kennedy e Andrei Gromyko durante l'incontro del 18 ottobre

Il giorno seguente l'EXCOMM tornò a riunirsi e questa volta la linea dell'attacco, prima sostenuta dallo stesso Kennedy, perse vigore per via delle considerazioni sulla probabilità di escalation che questa avrebbe portato con sé. Tra i più scettici verso l'opzione militare vi fu Adlai Stevenson, già in corsa per la presidenza e in quel momento ambasciatore statunitense alle Nazioni Unite, che propose di esplorare tutte le possibilità negoziali prima di ricorrere ad un attacco su Cuba. Tuttavia, anche Stevenson, riconobbe la necessità di non piegarsi a ricatti e intimidazione da parte dei sovietici. All'opposto Dean Acheson, ex segretario di Stato durante la presidenza Truman, insisteva sulla necessità di un'immediata incursione aerea prima che i missili diventassero completamente operativi.[66] Rusk suggerì di valutare le ripercussioni internazionali, in particolare con una possibile destabilizzazione dei paesi sudamericani in favore dei partiti comunisti e di una possibile rappresaglia sovietica su Berlino.[67]

Il 18 ottobre Kennedy incontrò, come da tempo previsto, alla Casa Bianca il ministro degli esteri sovietico Andrei Gromyko. Durante il colloquio Gromyko ribadì che non vi fosse alcuna intenzione da parte sovietica di installare missili a Cuba e che le armi presenti fossero solo a scopo difensivo; non volendo esporre ciò che già sapeva Kennedy, dal canto suo, non rivelò di essere già a conoscenza della presenza dei missili. Gromyko, in quel momento era pienamente consapevole dell'approntamento delle rampe missilistiche, portò invece il discorso sull'imminente viaggio di Chruščëv nel Stati Uniti, previsto per il mese successivo, occasione nella quale si sarebbe tornati a parlare della situazione di Berlino Ovest chiedendo la fine dell'occupazione occidentale. Successivamente l ministro sovietico spedì a Mosca un rapporto molto ottimistico sui risultati della riunione assicurando che difficilmente gli Stati Uniti sarebbero intervenuti a Cuba.[68]

Il generale Curtis LeMay forte sostenitore di un attacco contro Cuba

Il 19 ottobre, vi fu un importante incontro con i Capi di stati maggiori riuniti i quali convennero all'unanimità che un attacco e un'invasione su vasta scala fossero l'unica soluzione adottabile in quanto la presenza dei missili alterava l'equilibrio strategico. Essi, inoltre, riferirono che secondo loro i sovietici non avrebbero risposto all'invasione statunitense di Cuba. Kennedy fu scettico su questa previsione asserendo che «Loro, non più di noi, possono lasciar passare queste cose senza fare qualcosa. Non possono, dopo tutte le loro dichiarazioni, permetterci di eliminare i loro missili, uccidere un sacco di russi e poi non fare nulla. Se non agiscono a Cuba, lo faranno sicuramente a Berlino».[48] Il generale Curtis LeMay rispose facendo ulteriori pressioni per un intervento armato immediato mentre il generale Maxwell Taylor ragionò sulla sicura perdita di credibilità statunitense se non avessero risposto con vigore alla situazione cubana. Kennedy però si era convinto che un attacco aereo avrebbe fornito ai sovietici «una linea chiara» per conquistare Berlino, inoltre il presidente sottolineò di come probabilmente gli alleati avrebbero ritenuto gli Stati Uniti un «cowboy dal grilletto facile» che hanno perso Berlino perché non potevano risolvere pacificamente la situazione cubana.[69]

Decisione del blocco e discorso alla nazione del 22 ottobre

Memorandum del 18 ottobre dell'Assistente Speciale del Presidente Ted Sorensen per Kennedy in cui si analizzano le due opzioni rimaste: attacco o blocco

Il 20 ottobre le opzioni al vaglio dell'EXCOMM si erano ridotte a due: un attacco aereo incentrato principalmente contro le basi missilistiche cubane o un blocco navale dell'isola per evitare l'arrivo di forniture militari. L'ipotesi di un'invasione su vasta scala fu temporaneamente accantonata mentre McNamara, Robert Kennedy e Rusk appoggiarono il blocco navale in quanto azione militare forte ma limitata e che avrebbe lasciato il controllo agli Stati Uniti. Tuttavia, riserve sul blocco continuarono ad essere espresse per tutta la giornata: la preoccupazione principale era che una volta che il blocco fosse entrato in vigore, i sovietici si sarebbero affrettati a completare alcuni dei missili. Di conseguenza, gli Stati Uniti potrebbero trovarsi a bombardare missili operativi se il blocco non fosse riuscito a convincere Chruščëv a rimuovere quelli già presenti sull'isola. La soluzione militare era invece preferita dallo Stato Maggiore, da Achenson e da Bundy. Dopo alcune ore di discussione la maggioranza dell'EXCOMM virò verso l'ipotesi del blocco e anche lo stesso presidente ne fu convinto un quanto fosse l'unica «compatibile con i nostri principi».[70][71]

Ritenendo che il termine "blocco" potesse rappresentare un problema in quanto secondo il diritto internazionale è un atto di guerra si preferì, su suggerimento di Rusk, utilizzare il termine "quarantena". Inoltre, esperti legali del Dipartimento di Stato e del Dipartimento di Giustizia consigliarono di dare una legittimità giuridica al blocco ottenendo una risoluzione favorevole da parte dell'Organizzazione degli Stati americani (OSA) sulla base del trattato interamericano di assistenza reciproca (o patto di Rio).[72][73][74]

Il 21 ottobre venne trascorso in gran parte nella stesura del discorso che Kennedy si apprestava a fare alla nazione per informarla degli eventi e annunciare le azioni che da lì a poco avrebbero preso nei confronti di Cuba.[75]

Il giorno successivo, alcune ore prima che Kennedy comparisse in televisione, l'ambasciatore statunitense a Mosca Foy Kohler informò Chruščëv sull'imminente blocco e sul discorso in programma per la sera stessa. Gli ambasciatori di tutto il mondo fecero lo stesso con i governi degli stati non appartenenti al blocco orientale. Delegazioni statunitensi incontrarono il primo ministro canadese John Diefenbaker, il primo ministro britannico Harold Macmillan, il cancelliere della Germania occidentale Konrad Adenauer, il presidente francese Charles de Gaulle e il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani José Antonio Mora, per informarli sulle informazioni in loro possesso e risposta che intendevano intraprendere gli Stati Uniti. Tutti furono favorevoli alla posizione statunitense anche se vi furono critiche per non aver informato preventivamente i membri della NATO.[76]

23 ottobre 1962: il presidente Kennedy firma nello Studio Ovale l'atto con cui viene istituita la "quarantena" su Cuba per prevenire l'invio di armi[77]

Poco prima dell'inizio della diretta televisiva, Kennedy telefonò anche all'ex presidente Dwight Eisenhower.[75] La trascrizione della conversazione rivelò che i due si erano già consultati dallo scoppio della crisi. Entrambi concordarono che Chruščëv avrebbe risposto al mondo occidentale in un modo simile alla sua risposta durante la crisi di Suez, e forse avrebbe finito per chiedere una scambio tra la rimozione dei missili con Berlino ovest.[78]

Alle 19:00 EDT del 22 ottobre Kennedy pronunciò un famoso discorso televisivo nazionale trasmesso su tutte le principali reti televisive e radiofoniche in cui annunciò la scoperta dei missili. In uno dei passaggi dichiarò:[79]

«Sarà politica di questa nazione considerare qualsiasi missile nucleare lanciato da Cuba contro qualsiasi nazione dell'emisfero occidentale come un attacco dell'Unione Sovietica agli Stati Uniti, che richiede una risposta di rappresaglia completa contro l'Unione Sovietica.»

Inoltre descrisse le azioni pianificate dall'amministrazione:[80]

«Per fermare questo accumulo offensivo, è stata avviata una rigorosa quarantena su tutto l'equipaggiamento militare offensivo spedito a Cuba. Tutte le navi di qualsiasi tipo dirette a Cuba, da qualsiasi nazione o porto, se trovate contenere carichi di armi offensive, saranno respinte. Questa quarantena sarà estesa, se necessario, ad altri tipi di merci e vettori. In questo momento, tuttavia, non stiamo negando le necessità della vita come tentarono di fare i sovietici nel loro blocco di Berlino del 1948.»

Durante il discorso venne inviata una direttiva a tutte le forze statunitensi nel mondo ponendole sul livello di allerta DEFCON 3 mentre l'incrociatore pesante USS Newport News venne designato come ammiraglia per il blocco, con la USS Leary come scorta.[74] Nel 2007, l'autore del discorso di Kennedy, l'Assistente Speciale del Presidente Ted Sorensen, dichiarò che quello fu «il discorso storicamente più importante di Kennedy, in termini di impatto sul nostro pianeta».[81]

Reazioni internazionali e sovietiche

Proteste contro gli Stati Uniti ad Hyde Park a Londra

Appena Chruščëv seppe dell'imminente discorso di Kennedy convocò una riunione di emergenza del Presidium al Cremlino. Questa si svolse quattro ore prima che il presidente statunitense comparisse in televisione e quindi i vertici sovietici ancora non sapevano il tenore del discorso. Preoccupato che Kennedy fosse intenzionato a comunicare alla nazione la prossima invasione di Cuba, Chruščëv iniziò a valutare le possibili contro azioni e in particolare su autorizzare o meno le proprie forze sull'isola a respingere l'attacco statunitense mediate le armi nucleari tattiche in loro possesso e di cui l'esercito americano non ne conosceva con precisione l'esistenza. Dopo momenti di indecisione, il segretario generale del PCUS decise di ordinare ai militari di stanza a Cuba di difendersi con ogni mezzo ad eccezione delle armi nucleari. Quando il testo del discorso giunse a Mosca, si rese chiaro che per il momento la temuta invasione non ci sarebbe stata e quindi la riunione venne sciolta senza decidere alcuna azione di risposta alla "quarantena" di Cuba.[82]

Postazioni missilistiche anti aeree a Cuba

Nelle ore e nei giorni successivi al discorso di Kennedy si susseguirono in tutto il mondo le più diverse reazioni. In Cina, il Quotidiano del Popolo annunciò che «650000000 di uomini e donne cinesi erano al fianco del popolo cubano».[83] Nella Germania Ovest, i giornali sostennero la risposta degli Stati Uniti contrapponendola alla debolezza dimostrata nei mesi precedenti ma espressero anche il timore che i sovietici potessero vendicarsi su Berlino. In Francia la crisi monopolizzò la prima pagina di tutti i quotidiani. Il giorno successivo, un editoriale apparso su Le Monde esprimeva dubbi sull'autenticità delle prove fotografiche della CIA. Due giorni dopo, dopo la visita di un agente di alto rango dell'agenzia, il giornale cambiò idea. Sul numero del 29 ottobre de Le Figaro, Raymond Aron si schierò a sostegno della risposta statunitense.[84] Il 24 ottobre, Papa Giovanni XXIII inviò un messaggio all'ambasciata sovietica a Roma indirizzato al Cremlino in cui esprimeva la sua preoccupazione per la pace. In questo messaggio affermò: «Preghiamo tutti i governi di non rimanere sordi a questo grido dell'umanità. Che facciano tutto ciò che è in loro potere per salvare la pace».[85] Critiche alla "quarantena" vennero dai governi dei paesi comunisti del patto di Varsavia, dalla Cina, dalla Corea del Nord, dal Vietnam del Nord e da alcuni paesi non allineati. Giappone, Australia e Nuova Zelanda si dimostrarono favorevoli alla scelta di Kennedy.[86]

Il 23 ottobre arrivò anche la notizia del benestare alla decisione statunitense da parte dell'Organizzazione degli Stati Americani con venti voti favorevoli e nessun contrario. Kennedy firmò davanti alle telecamere l'atto con cui istituiva la quarantena di Cuba a partire dal giorno successivo.[86]

La risposta di Chruščëv al discorso di Kennedy data 24 ottobre

Il giorno successivo giunse a Washington la risposta sovietica al discorso del presidente nella forma di una lettera privata e di un comunicato stampa, entrambi dal tenore critico ma, come fece notare l'ambasciatore statunitense a Mosca Foy Kohler, che «evitavano minacce specifiche e erano moderate nel tono». In esse si annunciava l'ordine dato alle forze militari del Patto di Varsavia di alzare il livello di allerta e che avrebbero risposto con una forte rappresaglia nel caso che gli Stati Uniti avessero iniziato un conflitto. Inoltre gli statunitensi vennero accusati di «aver apertamente preso la via della grossolana violazione della Carta delle Nazioni Unite [...] delle norme internazionali della libertà di navigazione in alo mare» specificando che il materiale militare inviato a Cuba «a prescindere dalla classificazione a cui appartiene» avesse funzioni solamente difensive. Infine, la missiva si concluse ammonendo gli USA a n on compiere azioni che avrebbero potuto «portare a conseguenze catastrofiche per la pace nel mondo». La risposta di Kennedy fu immediata. Il presidente protestò con Chruščëv asserendo che la responsabilità per la situazione che si era venuta a creare fosse la sua decisione di installare missili a Cuba invitandolo a dare disposizioni celeri alle sue navi affinché osservassero le disposizioni della quarantena.[87]

Non tardarono ad arrivare anche le reazioni da Cuba dove già alcuni minuti prima del discorso di Kennedy Castro aveva ordinato il richiamo dei riservisti. Alla sera, il lider maximo, comparve in televisione per circa un'ora e mezza accusando gli Stati Uniti delle aggressioni già perpetrate nei confronti di Cuba e asserendo che i cubani non fossero «sovrani a parole ma nei fatti, e in accordo alla nostra tradizione di stato sovrano, per toglierci la nostra sovranità dovranno spazzarci via dalla faccia della terra». Abilmente Castro fece passare la crisi come in confronto «tra il gigante aggressivo nordamericano e la piccola Cuba minacciata» nascondendo che in realtà il confronto fosse tra Stati Unit e Unione Sovietica e che l'isola fosse soltanto «poco più che il campo di battaglia».[88]

Il 24 ottobre, alle 11:24 EDT, un cablogramma redatto da George Wildman Ball all'Ambasciatore degli Stati Uniti in Turchia e alla NATO, li informava che stavano valutando la possibilità offrire lo smantellamento dei missili Jupiter statunitensi dispiegati in Italia e in Turchia, in cambio del ritiro sovietico da Cuba. I funzionari turchi risposero che avrebbero «profondamente risentito» qualsiasi compromesso che avrebbe coinvolto la presenza missilistica statunitense nel loro paese.[89] Il giorno successivo l'autorevole giornalista statunitense Walter Lippmann propose la stessa soluzione nel suo editoriale.[90] Nello stesso momento, Castro raffermò il diritto di Cuba all'autodifesa e affermò che tutte le sue armi erano difensive e che Cuba non avrebbe consentito a un'ispezione.[91]

Una situazione di stallo

Una mappa declassificata utilizzata dalla flotta dell'Atlantico che mostra la posizione delle navi statunitensi e sovietiche all'apice della crisi

Il 24 ottobre, alle ore 10.00 della mattina la quarantena entrò in vigore. Fin da subito le prime notizie che giunsero alla Casa Bianca furono che le navi dirette verso Cuba stessero tornando indietro. Tuttavia presto si venne a sapere che non tutte si erano comportate allo stesso modo: presumibilmente furono quelle che trasportavano carichi bellici a invertire la rotta mentre le altre proseguirono verso la linea di blocco. Alle 7:15 EDT del 25 ottobre, la USS Essex e la USS Gearing tentarono di intercettare la petroliera sovietica Bucarest senza riuscirci ma poiché si era abbastanza certi che non contenesse materiale militare venne lasciata passare. Alle 17:43 dello stesso giorno, al cacciatorpediniere USS Joseph P. Kennedy Jr. venne ordinato di intercettare e abbordare il mercantile libanese Marucla e questo avvenne il giorno successivo; dopo che il carico fu controllato, la nave venne liberata dal blocco.[92]

Nonostante la volontà sovietica di non forzare la linea di quarantena, apparve sempre più chiaro ai membri dell'EXCOMM che la strategia fino a quel momento adottata non sarebbe stata sufficiente e che un intervento armato tra le due superpotenze prima o poi si sarebbe verificato. Poco prima, era giunta la notizia che i sovietici stavano lavorando ancora attivamente ai missili, un rapporto successivamente confermato dalla CIA. In risposta, Kennedy emise il Security Action Memorandum 199 con il quale autorizzò il caricamento di armi nucleari sugli aerei posti sotto il comando del SACEUR, che aveva il compito di effettuare i primi attacchi aerei sull'Unione Sovietica.[93][94]

Nel frattempo, il 24 ottobre era stato innalzato il livello di prontezza delle forze dello Strategic Air Command (SAC) a DEFCON 2, la prima e unica volta (al 2022) conosciuta. I bombardieri B-52 vennero posti in allerta in volo continua e i bombardieri medi B-47 vennero dispiegati in vari aeroporti militari e civili e preparati al decollo, completamente equipaggiati, con un preavviso di 15 minuti al decollo.[95][96] Un ottavo dei 1436 bombardieri del SAC si trovavano in allerta e circa 145 missili balistici intercontinentali erano pronti ad essere lanciati, alcuni dei quali miravano a Cuba.[97]

Conscio di una situazione che poteva degenerare in brevissimo tempo verso una guerra dagli esiti catastrofici il segretario generale delle Nazioni Unite designato U Thant intervenne chiedendo agli Stati Uniti di sospendere per alcune settimane l'avvio della quarantena e all'Unione Sovietica di fare altrettanto con l'invio delle armi. Il congelamento della situazione avrebbe, negli auspici del segretario, permesso di intavolare negoziati per una soluzione diplomatica della crisi.[98]

L'ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite Adlai Stevenson mostra all'assemblea le prove fotografiche della presenza dei missili sovietici a Cuba

Per il giorno successivo gli Stati Uniti avevano richiesto una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. In quella sede l'ambasciatore statunitense presso le Nazioni Unite Adlai Stevenson affrontò l'ambasciatore sovietico Valerian Zorin sfidandolo ad ammettere l'esistenza dei missili quando Zorin si rifiutò di rispondere.[99]

A questo punto, la crisi era apparentemente in una situazione di stallo. I sovietici non avevano mostrato alcuna prova di voler ritirare i missili dall'isola e gli Stati Uniti si apprestavano a sferrare un'invasione e un eventuale attacco nucleare contro l'Unione Sovietica se questa avesse risposto militarmente, cosa che presumevano avrebbe fatto. Kennedy non volle mantenere segreti questi piani; con una schiera di spie cubane e sovietiche sempre presenti, Chruščëv fu rapidamente reso consapevole di questo pericolo incombente. L'implicita minaccia di attacchi aerei su Cuba seguiti dall'invasione permise agli Stati Uniti di esercitare una forte pressione sul segretario generale del PCUS spingendolo verso la ricerca di un compromesso.[100] Durante le ultime fasi della crisi, i messaggi del leader sovietico divennero sempre più mal formulati e ambigui facendo trasparire una certa tensione. Secondo Dean Rusk, Chruščëv iniziò a farsi prendere dal panico per le conseguenze del suo stesso piano consentendo agli Stati Uniti di dominare i negoziati.[101]

Si aprono le prime trattative

Alle 13:00 EDT del 26 ottobre, John A. Scali, corrispondente di ABC News, pranzò con Aleksandr Fomin, il nome di copertura di Alexander Feklisov, capo della sede del KGB a Washington, su richiesta dello stesso Fomin. Seguendo le istruzioni del Politburo del PCUS, Fomin osservò che «la guerra sembra sul punto di scoppiare». Quindi chiese al suo interlocutore di usare i suoi contatti per parlare con i suoi «amici di alto livello» al Dipartimento di Stato per vedere se gli Stati Uniti sarebbero stati interessati a una soluzione diplomatica. Suggerì, inoltre, che l'accordo avrebbe contenuto una garanzia da parte dell'Unione Sovietica di rimuovere i missili sotto la supervisione delle Nazioni Unite e che Castro avrebbe annunciato pubblicamente che non avrebbe più accettato tali armi in cambio di una dichiarazione pubblica da parte degli Stati Uniti che non avrebbero invaso Cuba.

Nelle stesso ore sia Kennedy che Chruščëv iniziarono a prendere in seria considerazione di accogliere l'invito di U Thant a negoziare tramite gli ambasciatori. A Mosca, il segretario del PCUS, aveva informato il Presidium circa la sua intenzione di proporre agli statunitensi di ritirare i missili in cambio della garanzia che Cuba non sarebbe stata invasa; Chruščëv affermò agli esponenti sovietici che «questa non è codardia, ma una mossa prudente» e che «in questo modo rafforzeremo Cuba e la salveremo per due o tre anni».[102]

Alle 18:00 EDT del 26 ottobre, il Dipartimento di Stato ricevette un messaggio che sembrava essere stato scritto personalmente da Chruščëv, sottolineando che nel testo traspariva una certa «pressione e tensione emotiva» come dimostravano le numerose correzioni e dalla forma incerta. Erano le 2:00 di sabato a Mosca. La lunga lettera impiegò diversi minuti per giungere e i traduttori impiegarono diverso tempo per tradurla e trascriverla in un contesto in cui ogni ora di ritardo poteva compromettere la situazione.[103][104]

Robert Kennedy descrisse la lettera come «molto lunga ed emozionante». Chruščëv ribadì lo schema di base per l'accordo che era stato inizialmente riportato a Scali all'inizio della giornata ovvero il ritiro dei missili in cambio dell'assicurazione statunitense a non invadere Cuba. La missiva del leader sovietico suscitò reazioni contrastanti tra chi la considerava un passo verso la soluzione della crisi e chi invece continuava a suggerire l'attacco militare non fidandosi della parola di Chruščëv. Poche decine di minuti dopo giunse nello Studio Ovale Scali con la notizia dell'offerta che venne ascoltata e interpretata come una "preparazione" per l'arrivo della lettera di Chruščëv. La lettera fu quindi considerata ufficiale e accurata, anche se in seguito si è appreso che Fomin stesse quasi certamente operando di propria iniziativa senza il sostegno ufficiale.[105] Alla luce di queste novità Kennedy diede disposizioni perché la lettere venisse analizzata nel dettaglio poiché, salvo imprevisti, era intenzionato ad accettarne i termini il giorno successivo.[106]

27 ottobre Black Saturday: escalation e nuova proposta di Chruščëv

Consiglieri di Kennedy discutono nell'ala ovest della Casa Bianca dopo una riunione dell'EXCOMM

Le aspettative positive maturate con la lettera di Chruščëv naufragarono fragorosamente soltanto poche ore dopo. Come in seguito ricorderà Ted Sorensen, sabato 27 ottobre fu la giornata più buia di tutta la crisi tanto che verrà ricordata come il Black Saturday.[63] D'altronde già nelle prime ore della mattia a Robert Kenendy era arrivata un'informativa da parte dell'ufficio dell'FBI di New York che lo avvisava che alcuni funzionari sovietici stessero dando alle fiamme dei documenti come se si stessero preparando per una guerra.[107]

Nel frattempo, Fidel Castro, fortemente convinto che un'invasione dell'isola sarebbe stata imminente, aveva inviato un telegramma, oggi conosciuto come la Lettera di Armageddon, al leader sovietico con il quale sembrò richiedere un attacco nucleare preventivo contro gli Stati Uniti in caso di inizio delle operazioni contro Cuba. Tra le righe si poté leggere: «Credo che l'aggressività degli imperialisti sia estremamente pericolosa e se effettivamente compissero l'atto brutale di invadere Cuba in violazione del diritto internazionale e della morale, quello sarebbe il momento di eliminare per sempre tale pericolo attraverso un atto di chiara legittima difesa, per quanto dura e terribile sarebbe la soluzione». Il tenore di tale richiesta finì per scioccare lo stesso Chruščëv come ricordò nelle sue memorie.[108]

Alle 9:00 EDT dei quel "Sabato Nero", Radio Mosca iniziò a trasmettere un nuovo messaggio di Chruščëv che contrariamente alla lettera della sera prima, proponeva uno scambio diverso e più vantaggioso per i sovietici: i missili di Cuba sarebbero stati rimossi non solo a seguito di una assicurazione sulla inviolabilità di Cuba ma anche in cambio della rimozione dei missili Jupiter dalla Turchia:

«Sei preoccupato su Cuba. Dici che questo ti inquieta perché è a novantanove miglia di mare dalla costa degli Stati Uniti d'America. Ma... hai piazzato armi missilistiche distruttive, che tu chiami offensive, in Italia e la Turchia, letteralmente accanto a noi... Faccio quindi questa proposta: Siamo disposti a rimuovere da Cuba i mezzi che tu consideri offensivi... I tuoi rappresentanti faranno una dichiarazione secondo cui gli Stati Uniti... rimuoverà i suoi mezzi analoghi dalla Turchia... e successivamente, le persone incaricate dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite potrebbero verificare sul posto l'adempimento degli impegni presi.»

Un'ora dopo l'EXCOMM si riunì per discutere la situazione giungendo alla conclusione che il cambiamento nelle trattative fosse dovuto al dibattito interno tra Chruščëv e altri funzionari del Cremlino più intransigenti (se non addirittura che Chruščëv fosse stato destituito) . Kennedy si rese conto che si erano trovati in una posizione difficile. I missili in Turchia non erano considerati più militarmente utili ed era già stata programmata la loro rimozione a breve. Pertanto, osservò il presidente, «per qualsiasi uomo alle Nazioni Unite o per qualsiasi altro uomo razionale, sarebbe sembrato uno scambio molto equo». Tuttavia, per tutta la durata della crisi la Turchia si era detta contraria alla rimozione dei missili e accettare questo scambio avrebbe significato scendere alle condizioni imposte da Mosca andando contro un membro della NATO, quale era la Turchia. Tale soluzione avrebbe minato la credibilità degli Stati Uniti e messo a rischio l'Alleanza Atlantica.[109][110]

Ad innalzare la tensione, il generale LeMay informò l'EXCOMM che un aereo spia statunitese U-2 si era perso mentre sorvolava l'Alaska invadendo per errore il territorio dell'Unione Sovietica. Immediatamente si alzarono in volo caccia Mig sovietici dall'isola di Wrangel per abbatterlo e a loro volta gli statunitensi fecero decollare due F-104 armati di missili aria-aria nucleari sul Mare di Bering per soccorrere l'U-2. Lo scontro fu fortunatamente evitato quando il pilota dell'U-2 si rese conto di aver sconfinato (sentendo alla radio musica folk russa) e fece ritorno nello spazio aereo statunitese. Il pericolo che i sovietici credessero che l'aereo avesse sconfinato in preparazione di un attacco nucleare fu concreto.[111][112][113]

Missili S-75 simili a quelli che hanno abbattuto l'U-2 sopra Cuba

Alcune ore più tardi la situazione precipitò ulteriormente. Un ulteriore U-2 pilotato dal maggiore dell'aeronautica Rudolf Anderson, partì dalla sua posizione operativa avanzata presso la McCoy Air Force Base, in Florida. Intorno alle 12:00 EDT, il suo aereo venne colpito da un missile terra-aria S-75 lanciato da Cuba causandone lo schianto e la morte del pilota. Lo tensione tra sovietici e statunitense giunse al culmine; solo in seguito si è saputo quasi per certo che la decisione di lanciare il missile fosse stata presa localmente da un indeterminato comandante sovietico, che agì di propria iniziativa.[114][115]

La notizia dell'abbattimento giunse ai membri dell'EXCOMM durante una riunione per voce del generale Maxwell Taylor. In precedenza Kennedy aveva affermato che avrebbe ordinato un attacco contro la contraerea cubana se avesse sparato, ma decise di non agire a meno che non fosse stato effettuato un altro attacco.[116] Quarant'anni dopo, McNamara disse:

«Abbiamo dovuto inviare un U-2 per ottenere informazioni di ricognizione sull'eventuale operatività dei missili sovietici. Credevamo che se l'U-2 fosse stato abbattuto - i cubani non avevano la capacità di abbatterlo, i sovietici sì - credevamo che se fosse stato abbattuto, sarebbe stato abbattuto da un missile terra-aria sovietico - rappresentando una decisione dei sovietici per intensificare il conflitto. E quindi, prima di inviare l'U-2, abbiamo concordato che se fosse stato abbattuto non ci saremmo incontrati, avremmo semplicemente attaccato. È stato abbattuto venerdì [sabato]... Fortunatamente, abbiamo cambiato idea, abbiamo pensato «Beh, potrebbe essere stato un incidente, non attaccheremo».[117]»

Risposta statunitense

Kennedy e il Segretario di Stato Dean Rusk durante una riunione dell'EXCOMM

La situazione a Washington si era fatta molto tesa: Kennedy era propenso ad accettare l'offerta di Chruščëv di scambiare i missili cubani con quelli turchi ma molti membri dell'EXCOMM si dichiararono contrari a questa soluzione per le possibili conseguenze sull'unità della NATO. Con il progredire delle discussioni, emerse una nuova strategia proposta da Ted Sorensen, Robert Kennedy e Llewellyn Thompson, che prevedeva che ignorare l'ultimo messaggio di Chruščëv e di accettare quello precedente in cui non erano stati menzionati i missili turchi. Inizialmente Kennedy si dimostrò titubante ma poi si convinse che fosse una strada percorribile. Il consigliere speciale Sorensen e Robert Kennedy lasciarono riunione e tornarono 45 minuti dopo, con una bozza di una lettera. Il presidente apportò diverse modifiche e la fece battere a macchina.[118]

Su consiglio di McNamara si decise di chiedere all'Italia che fossero eliminati anche i missili Jupiter dislocati in Puglia in modo da fare pressione sulla Turchia. Già alcuni mesi primi il ministro della difesa italiano Giulio Andreotti aveva comunicato il proprio assenso alla rimozione dei missili e quindi non si intravedevano ostacoli.[119]

Terminata la riunione EXCOMM ne seguì una più ristretta nello Studio Ovale. Qui si decise che la risposta pubblica con cui veniva accettata la prima proposta di Chruščëv sarebbe stata accompagnata da un messaggio orale segreto all'ambasciatore Dobrynin in cui si sarebbe messo in chiaro che entro poche ore, se i missili a Cuba non fossero stati ritirati, sarebbe stata intrapresa un'azione militare per rimuoverli. Rusk fece aggiungere la condizione che nessuna parte dell'accordo avrebbe menzionato le basi in Turchia, ma che si sarebbe compreso che i missili sarebbero stati rimossi "volontariamente" subito dopo, entro alcuni mesi dalla fine della crisi. Il presidente acconsentì e inviò il fratello Robert a riferire tutto ciò a Dobrynin.[120]

Installazioni militari a Cuba in foto ottenute durante una ricognizione aerea del 27 ottobre

Agli statunitensi fu ben chiaro che ignorare la seconda offerta e tornare alla prima avrebbe messo Chruščëv in una posizione difficile da accettare. I preparativi militari proseguirono e tutto il personale dell'aeronautica militare in servizio attivo venne richiamato alle proprie basi per un'eventuale azione. Robert Kennedy in seguito ricordò il suo stato d'animo: «Non avevamo abbandonato ogni speranza, ma quella speranza che c'era ora dipendeva dalla revisione del suo corso da parte di Chruščëv nelle successive ore. Era una speranza, non un'aspettativa. L'aspettativa era quella di un confronto militare entro martedì (30 ottobre), e possibilmente anche domani (29 ottobre)...».[121][122]

Alle 12:12 EDT gli Stati Uniti informarono i propri alleati della NATO che «la situazione si sta accorciando... l'emisfero occidentale a intraprendere qualsiasi azione militare possa essere necessaria». Nel frattempo la CIA aveva riferito che tutti i missili a Cuba erano pronti per l'azione. Alle 20:05 EDT la risposta per Chruščëv venne inviata direttamente alla stampa per garantire che il destinatario ne venisse a conoscenza senza ritardi. Un'ora dopo l'EXCOMM si riunì di nuovo per rivedere le azioni per i giorni successivi. Vennero elaborati piani per attacchi aerei sui siti missilistici cubani e altri obiettivi economici, in particolare quelli per lo stoccaggio del petrolio. McNamara affermò che dovevano «avere due cose pronte: un governo per Cuba, perché ne avremo bisogno; e in secondo luogo, i piani su come rispondere all'Unione Sovietica in Europa, perché sicuramente faranno qualcosa lì».[122][123]

28 ottobre: la crisi si risolve

Chruščëv si trovava presso la sua Dacia di Nogo-Pgaryevo quando ricevette le notizie che giungevano da Washington. La proposta statunitense gli fu chiara: pubblicamente avrebbero accettato la sua prima lettera assicurando di non invadere Cuba mentre, segretamente, avrebbero anche da lì a qualche mese smantellato i missili in Turchia. In cambio, l'Unione Sovietica doveva ritirare i propri missili da Cuba altrimenti entro 24-48 ore sarebbero stati gli statunitensi a rimuoverli manu militari come Robert Kennedy aveva annunciato all'ambasciatore Dobrynin. D'altro canto c'erano la minacciosa lettera di Castro che invitava Chruščëv a sferrare lui per primo l'attacco nucleare e la notizia dell'abbattimento non voluto dell'U-2 che sicuramente aveva dato voce in capitolo a chi, tra i vertici degli Stati Uniti, voleva l'azione militare. A fronte di tutto ciò Chruščëv fu consapevole di essere vicino a perdere il controllo della situazione.[124]

Sentendo che non c'era più tempo, arrivò anche la notizia di un imminente nuovo discorso di Kennedy alla nazione poi rivelatasi non vera; Chruščëv decise di accettare la proposta statunitense facendola trasmettere immediatamente da Radio Mosca. Questo avvenne alle 9:00 del 28 ottobre ora di Washington. Chruščëv dichiarò che «il governo sovietico, oltre alle istruzioni precedentemente impartite sulla cessazione di ulteriori lavori nei cantieri per le armi, ha emesso un nuovo ordine sullo smantellamento delle armi che lei descrive come "offensive" e il loro imballaggio e ritorno in Unione Sovietica».[125][126]

Kennedy rispose immediatamente al leader sovietico rilasciando una dichiarazione con cui definì il messaggio del leader sovietico una «decisione di un grande statista» e «un contributo importante e costruttivo alla pace».[127] Proseguì poi con una lettera solenne:

«Considero la mia lettera a voi del 27 ottobre e la vostra risposta di oggi come impegni fermi da parte di entrambi i nostri governi che dovrebbero essere prontamente eseguiti... Gli Stati Uniti rilasceranno una dichiarazione nel quadro del Consiglio di Sicurezza in riferimento a Cuba come segue: si dichiarerà che gli Stati Uniti d'America rispetteranno l'inviolabilità dei confini cubani, la sua sovranità, che si impegneranno a non interferire negli affari interni, a non intromettersi e a non permettere che il nostro territorio sia utilizzato come testa di ponte per l'invasione di Cuba, e fermerà coloro che intendono condurre un'aggressione contro Cuba, sia dal territorio degli Stati Uniti che dal territorio di altri paesi vicini a Cuba.[127][128]»

Testo del discorso di Kennedy del 2 novembre

Il blocco di Cuba non venne tolto immediatamente; nei giorni successivi, ricognizioni aeree dimostrarono che i sovietici stavano compiendo progressi nella rimozione dei sistemi missilistici. I 42 missili e il loro equipaggiamento di supporto furono caricati su otto navi sovietiche. Il 2 novembre 1962, Kennedy si rivolse agli Stati Uniti per mezzo di trasmissioni radiofoniche e televisive informando la popolazione circa il processo di smantellamento delle basi missilistiche sovietiche a Cuba.[129]

Sebbene l'amministrazione Kennedy pensasse che la crisi dei missili cubani fosse risolta, alcuni missili tattici nucleari rimasero a Cuba poiché non facevano parte delle intese Kennedy-Chruščëv e gli statunitensi non ne erano a conoscenza. I sovietici tuttavia cambiarono idea, temendo possibili future azioni da parte di militanti cubani, e il 22 novembre 1962 il vice presidente sovietico Anastas Mikoyan comunicò a Castro che anche i missili tattici sarebbero stati rimossi.[27]

La crisi dei missili cubani venne risolta in gran parte grazie all'accordo segreto tra John Kennedy e Nikita Chruščëv. Al tempo solo 9 funzionari statunitensi ne erano a conoscenza e venne riconosciuto ufficialmente per la prima volta in una conferenza a Mosca soltanto nel gennaio 1989 dall'ambasciatore sovietico Dobrynin e dal consigliere Theodore Sorensen.[130][131] La rimozione dei missili Jupiter dall'Italia e dalla Turchia iniziò il 1º aprile del 1963 e fu completata entro il 24 aprile successivo. I piani iniziali furono quelli di riutilizzare i missili per altri programmi, ma né la NASA né l'USAF furono interessate. Pertanto i missili vennero distrutti sul posto mentre le testate, i sistemi di guida e le attrezzature di lancio vennero riportate negli Stati Uniti.[132]

Poiché il ritiro dei missili Jupiter dalle basi NATO in Italia e in Turchia non erano stati resi pubblici all'epoca, sembrò che Kennedy avesse vinto il confronto tra le superpotenze e che Chruščëv fosse stato umiliato. In realtà entrambi fecero ogni passo necessario per evitare un conflitto pieno, nonostante le pressioni dei rispettivi governi che spingevano verso soluzioni più drastiche. Chruščëv mantenne il potere in Unione Sovietica per altri due anni per poi essere destituito forse anche in parte a causa dei fatti inerenti alla crisi cubana.[133][134] Come conseguenza diretta della crisi, gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica stabilirono una linea di comunicazione diretta, la "linea rossa", per facilitare le comunicazioni tra le due massime cariche in caso che si fosse ripetuta una crisi simile.[14][63]

Conseguenze

Cuba

Cuba percepì la fine della crisi come un tradimento da parte dei sovietici poiché le decisioni su come risolverla vennero prese esclusivamente da Kennedy e Chruščëv. Castro fu particolarmente contrariato dal fatto che alcune questioni di fondamentale interesse per il suo paese, come lo status della base navale statunitense di Guantánamo, non fossero state affrontate. Ciò causò un deterioramento delle relazioni cubano-sovietiche per gli anni a venire.[135]

Poche settimane dopo la crisi, durante un'intervista rilasciata al quotidiano comunista britannico The Daily Worker, Che Guevara si dimostrò ancora furioso per il presunto tradimento sovietico e disse al corrispondente Sam Russell che, se i missili fossero stati sotto il controllo cubano, li avrebbero lanciati.[136] Successivamente, Guevara ribadì che la causa della liberazione socialista contro l'«aggressione imperialista» globale valeva la possibilità di «milioni di vittime della guerra atomica».[137] La crisi dei missili convinse ulteriormente i leader rivoluzionario che le due superpotenze mondiali (Stati Uniti e Unione Sovietica) usassero Cuba come una pedina nelle proprie strategie globali. In seguito, mosse accuse ai sovietici quasi con la stessa frequenza con cui le muoveva agli statunitensi.[138]

Unione Sovietica

L'ambasciatore sovietico negli Stati Uniti Anatolij Dobrynin

La consapevolezza di quanto il mondo fosse stato vicino alla guerra termonucleare spinse Chruščëv a proporre un allentamento delle tensioni con gli Stati Uniti.[139] In una lettera inviata al presidente Kennedy e datata 30 ottobre 1962, il leader sovietico delineò una serie di audaci iniziative per prevenire la possibilità di un'ulteriore crisi nucleare, inclusa la proposta di un trattato di non aggressione tra la NATO il Patto di Varsavia o addirittura lo scioglimento di questi blocchi militari. Altre proposte furono quelle di un trattato per cessare tutti i test sulle armi nucleari e persino l'eliminazione degli arsenali nucleari e la risoluzione della questione della divisione della Germania con l'accettazione definitiva della situazione di fatto. La lettera invitava il presidente statunitense a formulare controproposte e svolgere successivi valutazioni attraverso negoziati pacifici. Chruščëv invitò Norman Cousins, editore di un importante periodico statunitense e attivista contro le armi nucleari, a fungere da collegamento con il presidente Kennedy; Cousins incontrò Chruščëv per quattro ore nel dicembre 1962.[140]

La risposta di Kennedy fu tiepida ma poi confidò a Cousins che la sua reticenza era in gran parte causata delle pressioni degli ambienti più intransigenti nell'apparato di sicurezza nazionale statunitense. Tuttavia, poco dopo, Stati Uniti e Unione Sovietica raggiunsero un accordo che portò al trattato sulla messa al bando parziale degli esperimenti nucleari che vietava i test atomici in atmosfera.

Il compromesso che aveva messo fine alla crisi dei missili aveva creato imbarazzo a Chruščëv e all'Unione Sovietica poiché sembravano usciti sconfitti in quanto il ritiro dei missili statunitensi dall'Italia e dalla Turchia rimaneva un accordo segreto. Chruščëv aveva accettato la proposta statunitense perché certo che la situazione stesse ad entrambi sfuggendo di mano, ma la percezione comune fu quella che i sovietici si stessero ritirando dalle circostanze a cui essi stessi avevano dato inizio.

La caduta dal potere di Chruščëv due anni dopo fu molto probabilmente in parte dovuta a tutto questo. Secondo l'ambasciatore sovietico a Washington Anatolij Dobrynin, il Politburo interpretò l'esito della crisi cubana come «un colpo al prestigio sovietico al limite dell'umiliazione».[141]

Stati Uniti

Lo stato di allerta DEFCON 3 delle forze armate statunitensi in tutto il mondo venne riportato a DEFCON 4 il 20 novembre 1962. Il generale Curtis LeMay disse al presidente che la risoluzione della crisi è stata la «più grande sconfitta della nostra storia» sebbene la sua posizione fosse condivisa da pochi. LeMay era stato da subito un convinto sostenitore dell'invasione e lo fu anche dopo il ritiro dei missili da parte dei sovietici.[142]

In molti hanno sottolineato di come la crisi cubana finì per influenzare fortemente le successive decisioni della politica statunitense anche nei successori di Kennedy. A tal proposito Lorraine Bayard de Volo evidenziò di come le scelte di Kennedy durante la crisi serviranno come «pietra di paragone della durezza con cui vengono misurati i presidenti».[143] Allo stesso modo gli scrittori Seymour Melman e Seymour Hersh hanno concluso che l'esito della crisi avesse incoraggiato l'uso dei mezzi militari da parte degli Stati Uniti nelle decisioni di politica estera, spesso con esiti controproducenti o addirittura catastrofici, come avvenne nel caso dell'escalation nella guerra del Vietnam tre anni dopo i fatti di Cuba durante la presidenza di Lyndon Johnson.[144]

Lanci nucleari scongiurati nel black saturday

La portaerei antisommergibile USS Randolph rischiò di provocare un lancio nucleare da un sottomarino sovietico

Il 27 ottobre, nel giorno che in seguito sarà chiamato "sabato nero", in almeno due casi si rischiò concretamente l'inizio di un attacco nucleare senza che i rispettivi governi ne fossero stati nemmeno a conoscenza. Entrambi i casi furono rivelati dai protagonisti molti anni dopo gli eventi. Il primo, rimasto ignoto fino al 2002, avvenne al largo del Mare dei Caraibi quando la squadra della portaerei statunitense USS Randolph sganciò una serie di bombe di profondità di "segnalazione" per farlo riemergere nei riguardi di un sottomarino sovietico (B-59) che stava puntando oltre la linea di quarantena, ignorando che questo disponesse di un siluro armato con una testata nucleare e con ordini che ne avrebbero consentito il lancio se questo fosse stato attaccato. Poiché il sottomarino si trovava troppo in profondità per monitorare qualsiasi traffico radio, il capitano del B-59, Valentin Grigoryevich Savitsky, ritenne che una guerra potesse essere già essere iniziata e volle lanciare il siluro. La decisione normalmente avrebbe richiesto solo l'accordo dei due ufficiali in comando a bordo, il Capitano e il commissario politico. Tuttavia, il comandante della flottiglia di sottomarini, Vasilij Archipov, si trovava in quel momento a bordo del B-59 e quindi era necessario anche il suo assenso. Arkhipov si oppose e così il lancio nucleare venne scongiurato per poco.[145][146]

L'altro fatto avvenne nella notte tra il 27 e il 28 ottobre quando una base segreta dell'aeronautica statunitense a Okinawa ricevette l'ordine di lancio di quattro missili nucleari a loro disposizione. Il comandante della base, il comandante Bassett, decise di non eseguire subito l'ordine, poiché le forze armate si trovavano ancora in stato di DEFCON 2 (tempo di pace) e non di DEFCON 1 (tempo di guerra), e chiedere più volte conferma. Quando il Missile Operation Center capì che l'ordine mandato a Okinawa era sbagliato lo annullò immediatamente. La notizia di questo incidente venne rivelata nel 2015 da un aviere al tempo in servizio alla base; sebbene i documenti che proverebbero la veridicità dell'evento sono ad oggi (2023) ancora segretati, il permesso conferito dall'aeronautica all'ex aviere di raccontarlo fa ritenere che sia avvenuto realmente.[147][148]

Nella cultura popolare e nei media

Una nave sovietica carica missili nucleari diretti a Cuba nel film Topaz di Alfred Hitchcock

Negli Stati Uniti i mass media, e in particolare la televisioni, hanno spesso fatto riferimento agli eventi della crisi cubana sia in forma fittizia che documentaria.[149] Lo scrittore Jim Willis ha incluso la crisi come uno dei 100 "momenti mediatici che hanno cambiato l'America".[150] Lo storico dell'università di Harvard Sheldon Stern ha sottolineato di come mezzo secolo dopo vi siano ancora molte «idee sbagliate, mezze verità e vere e proprie bugie» che hanno plasmato le versioni mediatiche di ciò che è accaduto alla Casa Bianca durante quelle due settimane critiche.[151]

Secondo lo storico della Guerra Fredda Andrei Kozovoi, i mezzi di comunicazione sovietici si dimostrarono alquanto disorganizzati nel raccontare gli eventi poiché non furono in grado di generare una storia coerente per il pubblico in quanto non vi erano molte contraddizioni tra la retorica pacifista sovietica che enfatizzava gli orrori della guerra nucleare e la necessità di preparare il popolo alla guerra di aggressione contro gli Stati Uniti. Inoltre, per la propaganda fu difficile non mettere in correlazione la destituzione di Chruščëv pochi anni dopo con la negazione di una sconfitta politica.[152]

Negli Stati Uniti Robert Kennedy scrisse un libro di memorie sugli eventi, pubblicato postumo nel 1969, che successivamente diverrà la base per numerosi film e documentari.[153] La crisi di Cuba venne ampiamente descritta nel 1974 in docudrama televisivo The Missiles of October[154] e nel documentario The Fog of War del 2003 che si aggiudicò anche l'Oscar al miglior documentario l'anno successivo.

La crisi è spesso apparsa anche al cinema. Poco dopo gli eventi, il regista Stanley Kubrick scrisse e diresse il film Il Dottor Stranamore in cui descrive con cinismo come il sistema difensivo basato sulla deterrenza nucleare sia prono all'errore e alla follia umana.[155] Il film del 1969 Topaz diretto da Alfred Hitchcock è ambientato durante il periodo precedente agli eventi,[156] mentre Matinee del 1993 racconta di come un regista indipendente decide di cogliere l'opportunità data dalla crisi per debuttare con un film a tema atomico.[157] Nel 2000 è uscito nelle sale Thirteen Days, un film diretto da Roger Donaldson incentrato sulla prospettiva dei dirigenti politici statunitensi che si basa sulle trascrizioni dei dialoghi delle varie riunioni che si sono susseguite in quei giorni.[158] L'ombra delle spie è un film del 2020 che racconta la «storia vera dell'uomo d'affari britannico Greville Wynne che insieme alla sua fonte russa, Oleg Penkovsky, fornì all'MI6 informazioni cruciali che misero fine alla crisi».[159]

Note

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