Alberico da Barbiano: differenze tra le versioni

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|stemma = Stemma da barbiano.png
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|titolo = [[Conte]] di [[Cunio]]
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|altrititoli = [[Gonfaloniere della Chiesa]]<br />[[Connestabile|Gran Connestabile]] del [[Regno di Napoli]]
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|periodo = [[1385]] – [[1409]]
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|predecessore = Alidosio da Barbiano
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|altrititoli = [[Gonfaloniere della Chiesa]]<br />[[Senatore]] di [[Roma]]<br />[[Connestabile|Gran Connestabile]] del [[Regno di Napoli]]
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Fu [[conte]] di [[Cunio]] e [[Signore (titolo nobiliare)|signore]] di [[Castel Bolognese]], [[Conversano]], [[Cotignola]], [[Dozza]], [[Giovinazzo]], [[Granarolo (Faenza)|Granarolo]], [[Lugo (Italia)|Lugo]], [[Montecchio Emilia]], [[Nogarole Rocca]], [[Tossignano]] e [[Trani]].
Fu [[conte]] di [[Cunio]], [[Signore (titolo nobiliare)|signore]] di [[Castel Bolognese]], [[Conversano]], [[Cotignola]], [[Dozza]], [[Giovinazzo]], [[Granarolo (Faenza)|Granarolo]], [[Lugo (Italia)|Lugo]], [[Montecchio Emilia]], [[Nogarole Rocca]], [[Tossignano]] e [[Trani]], [[Gonfaloniere della Chiesa]], [[senatore]] di [[Roma]] e [[Connestabile|gran connestabile]] del [[Regno di Napoli]].

[[File:bandiera alberico.PNG|miniatura|destra|Vessillo donato ad Alberico da [[Papa Urbano VI]]]]


== Biografia ==
== Biografia ==
{{Citazione|''Senza limite la ferocia di costoro: devastate le campagne, arse e saccheggiate le città, violate le fanciulle, i prigionieri torturati, abbacinati, bruciati vivi, dati in pasto ai cani e i corpi loro fatti a pezzi, e non essendovi altre armi che le loro, avveniva che persone, province, onore, tutto precipitasse in mano di questi barbari avventurieri. L'Italia osservava con dispetto quelle orde di avventurieri... aspettava un genio che a quelle milizie mostrasse in che è locata la gloria e dove l'infamia, le trascinasse nelle campagne, le mettesse in militare ordinanza e le spingesse salde, compatte e meglio agguerrite a mutare il destino delle città o volgere in fuga scompigliata i fanti e cavalieri stranieri. E venne quindi il genio cui sospirava l'Italia: Alberico da Barbiano.''|[[Ariodante Fabretti]], in ''Biografie dei capitani di ventura dell'Umbria''}}
{{Citazione|''L'Italia osservava con dispetto quelle vaganti orde d'avventicci, scapigliate, feroci, bramose non altro che di preda, e rotte ad ogni improntitudine:'' [...] ''aspettava un genio che a quelle disordinate milizie mostrasse in che è locata la gloria, e dove l'infamia; le trascinasse nelle aperte campagne, le mettesse in militare ordinanza, e le spignesse salde, compatte e meglio agguerrite a mutare i destini delle città, a volgere in fuga scompigliata fanti e cavalli stranieri. Venne il genio cui sospirava l'Italia: venne Alberico da Barbiano.''|[[Ariodante Fabretti]], ''Biografie dei capitani venturieri dell'Umbria, scritte ed illustrate con documenti'', vol. 1, Montepulciano, 1842, p. 109}}
=== L'infanzia ===
=== L'infanzia ===
Alberico, figlio di Alidosio, discendente di un'antica famiglia nobile di origine carolingia, i [[Da Barbiano]], [[conti di Cunio]] e [[Signore (titolo nobiliare)|signori]] di [[Barbiano di Cotignola|Barbiano]], [[Lugo (Italia)|Lugo]] e [[Zagonara]], nacque a [[Barbiano (Cotignola)|Barbiano]] nel [[1349]].
Alberico, figlio di Alidosio, discendente da un'antica famiglia nobile di origine [[Carolingi|carolingia]], i [[Da Barbiano]], [[conti di Cunio]] e [[Signore (titolo nobiliare)|signori]] di [[Barbiano di Cotignola|Barbiano]], [[Lugo (Italia)|Lugo]] e [[Zagonara]], nacque a [[Barbiano (Cotignola)|Barbiano]] nel [[1349]].


Sin da ragazzo mostrò un temperamento "''infaticabile, senza paura e pieno di amor di gloria''"<ref>La descrizione fu fatta dal [[cardinale]] [[Anglico de Grimoard]] nel [[1371]]. Riportata in Domenico Conti, ''Ricerca storica su Barbiano'', Lugo, 1988.</ref> che lo portò ben presto a tralasciare gli studi per porsi al servizio di [[Giovanni Acuto]]; narra infatti un aneddoto che, dopo esser stato sconfitto dal fratello [[Giovanni da Barbiano|Giovanni]] mentre si esercitavano con la spada, egli giurò di lasciarsi morire di fame rifiutando ogni tipo di cibo piuttosto che sopravvivere ad un tale disonore, che venne riscattato in seguito ad un successivo incontro.
Sin da ragazzo mostrò un temperamento «infaticabile, senza paura e pieno di amor di gloria»<ref>La descrizione fu fatta dal cardinale [[Anglico de Grimoard]] nel [[1371]]. Riportata da Domenico Conti, in ''Ricerca storica su Barbiano'', Lugo, 1988.</ref> che lo portò ben presto a tralasciare gli studi per porsi al servizio di [[Giovanni Acuto]]; narra infatti un aneddoto che, dopo esser stato sconfitto dal fratello [[Giovanni da Barbiano|Giovanni]] mentre si esercitavano con la spada, egli giurò di lasciarsi morire di fame rifiutando ogni tipo di cibo piuttosto che sopravvivere ad un tale disonore, che venne riscattato in seguito ad un successivo incontro.


=== Le prime battaglie: la Compagnia di San Giorgio ===
=== Le prime battaglie: la Compagnia di San Giorgio ===
Nel [[1365]], sedicenne, Alberico e la sua famiglia entrarono in conflitto con i [[Visconti]] per il possesso di [[Zagonara]]: la disputa ebbe termine con l'intervento del rettore pontificio della [[Romagna]], Daniele del Carretto.
Nel [[1365]], sedicenne, Alberico e la sua famiglia entrarono in conflitto con i [[Visconti]] per il possesso di Zagonara: la disputa ebbe termine con l'intervento di Daniele [[Del Carretto]], rettore pontificio della [[Romagna]].


Nel [[1375]] affiancò Giovanni Acuto nella [[guerra degli Otto Santi]] contro i fiorentini e un anno più tardi partecipò all'eccidio di [[Faenza]]. Nel [[1377]], dopo la distruzione di [[Cesena]] (avvenuta il 1º febbraio), [[Barnabò Visconti]] lo prese a proprio servizio, come aveva fatto in precedenza col padre Alidosio.
Nel [[1375]] affiancò Giovanni Acuto nella [[guerra degli Otto Santi]] contro la [[Repubblica di Firenze]] e un anno più tardi ([[1376]]) partecipò all'eccidio di [[Faenza]]. Nel [[1377]], dopo la distruzione di [[Cesena]], avvenuta il 1º febbraio, [[Barnabò Visconti]] lo prese al proprio servizio, come aveva fatto in precedenza col padre Alidosio.


L'anno seguente Alberico fondò la sua [[Compagnia di San Giorgio]] ([[1378]]), disgustato dalle razzie e dalle stragi compiute dai capitani di ventura stranieri: essa, infatti, divenne la prima [[compagnia di ventura]] interamente composta da miliziani italiani; la prima battaglia a cui partecipò la compagnia fu quella che vedeva contrapposti i [[Visconti]] e gli [[Scaligeri]], alleati con i Carraresi.
L'anno seguente ([[1378]]) Alberico fondò la sua [[Compagnia di San Giorgio]], disgustato dalle razzie e dalle stragi compiute dai capitani di ventura stranieri: essa, infatti, divenne la prima [[compagnia di ventura]] interamente composta da miliziani italiani; la prima battaglia a cui partecipò la compagnia fu quella che vedeva contrapposti i Visconti e gli [[Della Scala|Scaligeri]], alleati con i [[Da Carrara]].


Dalla sua compagnia emersero in seguito molti condottieri famosi come [[Ugolotto Biancardo]], [[Jacopo dal Verme]], [[Facino Cane]], [[Ottobuono de' Terzi]], [[Muzio Attendolo Sforza]], [[Braccio da Montone]], [[Jacopo Caldora]] e Ceccolino Michelotti.
Dalla sua compagnia emersero in seguito molti condottieri famosi come [[Braccio da Montone]], Ceccolino Michelotti, [[Facino Cane]], [[Jacopo Caldora]], [[Jacopo Dal Verme]], [[Muzio Attendolo Sforza]], [[Ottobuono de' Terzi]] ed [[Ugolotto Biancardo]].


Inoltre, sempre in questi anni, egli si preoccupò di innovare l'arte guerriera modificando le [[Barda|barde]] dei cavalli, rendendole delle vere e proprie coperte d'acciaio lunghe fino alle ginocchia del quadrupede, ideando nuove tecniche di carica e munendo il muso del destriero di uno spuntone che all'occorrenza diveniva micidiale nell'assalto; aggiunse, inoltre, la ventaglia e il collare all'elmo del cavaliere per proteggerne il collo.
Inoltre, sempre in questi anni, si preoccupò di innovare l'arte guerriera modificando le [[Barda|barde]] dei cavalli, rendendole delle vere e proprie coperte d'acciaio lunghe fino alle ginocchia del quadrupede, ideando nuove tecniche di carica e munendo il muso del destriero di uno spuntone che all'occorrenza diveniva micidiale nell'assalto; aggiunse, inoltre, la ventaglia e il collare all'elmo del cavaliere per proteggerne il collo.


=== Al servizio di Papa Urbano VI: la battaglia di Marino ===
=== Al servizio di Papa Urbano VI: la battaglia di Marino ===
Lo spirito battagliero di Alberico e la potenza della sua compagnia ebbero subito una grande fama su tutta la penisola: quando le milizie mercenarie [[bretoni]] dell'[[Antipapa Clemente VII]] scesero in Italia intenzionate a deporre [[Papa Urbano VI]], egli rispose prontamente alla chiamata di aiuto da parte di quest'ultimo e di [[Santa Caterina da Siena|Caterina da Siena]]. Nella [[battaglia di Marino]] ([[1379]]) sconfisse le milizie [[bretoni]] e [[guascogna|guascone]] comandate da Giovanni di Maléstroit, Luigi di Montjoie e Bernardo della Sala, sbaragliando le truppe avversarie in meno di 5 ore: verso sera egli entrò trionfante a [[Roma]], acclamato da una moltitudine di persone; il Papa, recatosi incontro al vincitore a piedi nudi, lo nominò "Cavaliere di Cristo" e gli conferì solennemente nella [[Basilica di San Pietro]] un grande stendardo bianco attraversato da una croce rossa, recante il motto dorato "LI-IT-AB-EXT" ("''Italia ab exteris liberata''"). Venne inoltre nominato senatore dello [[Stato Pontificio]]<ref>Ercole Ricotti, ''Storia delle compagnie di ventura in Italia'', UTET, Torino, 1898, p. 343.</ref>.
Lo spirito battagliero di Alberico e la potenza della sua compagnia ebbero subito una grande fama su tutta la penisola: quando le milizie mercenarie [[bretoni]] dell'[[Antipapa Clemente VII]] scesero in Italia intenzionate a deporre [[Papa Urbano VI]], egli rispose prontamente alla chiamata di aiuto da parte di quest'ultimo e di [[Santa Caterina da Siena|Caterina da Siena]]. Nella [[battaglia di Marino]] ([[1379]]) sconfisse le milizie bretoni e [[Guascogna|guascone]] comandate da Giovanni di Maléstroit, Luigi di Montjoie e Bernardo della Sala, sbaragliando le truppe avversarie in meno di 5 ore: verso sera egli entrò trionfante a [[Roma]], acclamato da una moltitudine di persone; il Papa, recatosi incontro al vincitore a piedi nudi, lo nominò "Cavaliere di Cristo" e gli conferì solennemente nella [[Basilica di San Pietro]] un grande stendardo bianco attraversato da una croce rossa, recante il motto latino dorato "''LI-IT-AB-EXT''" ("''Liberata Italia ab exteris''", cioè "L'Italia liberata dagli stranieri"). Venne inoltre nominato [[senatore]] dello [[Stato Pontificio]]<ref>Ercole Ricotti, ''Storia delle compagnie di ventura in Italia'', Torino, UTET, 1898, p. 343.</ref>.

[[File:bandiera alberico.PNG|thumb|right|Vessillo donato ad Alberico da [[Papa Urbano VI]]]]

In seguito alla vittoria Santa Caterina scrisse una lettera ad Alberico per esortarlo a rimanere schierato col pontefice:


{{Citazione|''Al nome di Gesù Crocefisso e Maria dolce. Confortatevi, confortatevi in Cristo, dolce Gesù, tenendo dinanzi a voi il sangue sparso con tanto fuoco di amore, stante nel campo col gonfalone della santissima Croce. Pensate che il sangue di questi gloriosissimi martiri sempre guida al cospetto di Dio, chiedendo sopra di voi l'aiutorio suo. Pensate che questa terra'' [Roma] ''è il giardino di Cristo benedetto ed il principio della nostra fede e però ciascuno, per se medesimo, ci debbe essere inanimato.''|[[Niccolò Tommaseo]], lettera di [[Santa Caterina da Siena|Santa Caterina]] n. 219}}
In seguito alla vittoria [[Santa Caterina da Siena|Santa Caterina]] scrisse una lettera ad Alberico per esortarlo a rimanere schierato col pontefice:
{{citazione|''Al nome di Gesù Crocefisso e Maria dolce. Confortatevi, confortatevi in Cristo, dolce Gesù, tenendo dinanzi a voi il sangue sparso con tanto fuoco di amore, stante nel campo col gonfalone della santissima Croce. Pensate che il sangue di questi gloriosissimi martiri sempre guida al cospetto di Dio, chiedendo sopra di voi l'aiutorio suo. Pensate che questa terra'' (Roma) ''è il giardino di Cristo benedetto ed il principio della nostra fede e però ciascuno, per se medesimo, ci debbe essere inanimato.''|[[Niccolò Tommaseo]], lettera di [[Santa Caterina da Siena|Santa Caterina]] n. 219.}}


Sconfitti i bretoni, giunse in aiuto di [[Carlo III di Napoli|Carlo d'Angiò-Durazzo]] ([[1380]]), al quale era stato sottratto il legittimo trono dalla [[Giovanna I di Napoli|regina Giovanna I d'Angiò]], schieratasi dalla parte dei bretoni per paura di essere deposta; nello scontro egli sconfisse lo stesso Giovanni Acuto dal quale aveva appreso l'arte militare. Per riconoscenza, Carlo III lo nominò [[Connestabile|Gran Connestabile]] del [[Regno di Napoli]].
Sconfitti i bretoni, giunse in aiuto di [[Carlo III di Napoli|Carlo III d'Angiò-Durazzo]] ([[1380]]), al quale era stato sottratto il legittimo trono dalla Regina [[Giovanna I di Napoli|Giovanna I d'Angiò]], schieratasi dalla parte dei bretoni per paura di essere deposta; nello scontro egli sconfisse lo stesso Giovanni Acuto dal quale aveva appreso l'arte militare. Per riconoscenza, Carlo III lo nominò [[Connestabile|gran connestabile]] del [[Regno di Napoli]].


Nel [[1385]] liberò, assieme al fratello Giovanni, la natìa Barbiano, occupata dalle truppe bolognesi di Giacomo Boccadiferro in seguito alla morte del loro padre Alidosio.
Nel [[1385]] liberò, assieme al fratello Giovanni, la natìa Barbiano, occupata dalle truppe bolognesi di Giacomo Boccadiferro in seguito alla morte del loro padre Alidosio.


=== Al soldo dei Visconti ===
=== Al soldo dei Visconti ===
Nel [[1392]] Alberico fu sconfitto e venne fatto prigioniero presso [[Ascoli Piceno]] da [[Luigi I d'Angiò]], intenzionato anch'egli, come i bretoni, a deporre il pontefice. Il condottiero fu riscattato, per la somma di 3.000 fiorini, da [[Gian Galeazzo Visconti]], il quale lo accolse poi nella sua compagnia (24 aprile [[1392]]).
Nel [[1392]] Alberico fu sconfitto e fatto prigioniero presso [[Ascoli Piceno]] da [[Luigi I d'Angiò|Luigi I d'Angiò-Valois]], intenzionato anch'egli, come i bretoni, a deporre il pontefice. Il condottiero fu riscattato, per la somma di 3.000 [[Fiorino|fiorini]], da [[Gian Galeazzo Visconti]], il quale lo accolse poi nella sua compagnia (24 aprile [[1392]]).


Sotto le insegne milanesi, Alberico entrò a [[Firenze]] nel [[1397]] assieme al fratello Giovanni, saccheggiando e devastando la città. Subito dopo venne richiamato in Lombardia dal Visconti, deciso a sbaragliare una volta per tutte le truppe del duca [[Francesco Gonzaga]], alleato dei fiorentini; assieme a Jacopo dal Verme sbaragliò le truppe del Gonzaga presso [[Borgoforte (Borgo Virgilio)|Borgoforte]], ma all'ultimo momento, poco prima della battaglia decisiva, Gian Galeazzo Visconti firmò un armistizio con la potente famiglia mantovana.
Sotto le insegne del [[Ducato di Milano]], Alberico entrò a [[Firenze]] nel [[1397]] assieme al fratello Giovanni, saccheggiando e devastando la città. Subito dopo venne richiamato in [[Lombardia]] da Gian Galeazzo, deciso a sbaragliare una volta per tutte le truppe del duca [[Francesco Gonzaga]], alleato dei fiorentini; assieme a Jacopo Dal Verme sbaragliò le truppe del Gonzaga presso [[Borgoforte (Borgo Virgilio)|Borgoforte]], ma all'ultimo momento, poco prima della battaglia decisiva, Gian Galeazzo firmò un armistizio con la potente famiglia mantovana.


Licenziatosi dall'incarico visconteo, Alberico ricevette la chiamata d'aiuto dal re di Napoli [[Ladislao I di Napoli|Ladislao d'Angiò-Durazzo]], assediato nuovamente dai francesi, guidati questa volta da [[Luigi II d'Angiò]], il quale venne sconfitto dopo ripetute battaglie presso [[Afragola]].
Licenziatosi dall'incarico visconteo, Alberico ricevette la chiamata d'aiuto dal Re del Regno di Napoli [[Ladislao I di Napoli|Ladislao d'Angiò-Durazzo]], assediato nuovamente dai francesi, guidati questa volta da [[Luigi II d'Angiò|Luigi II d'Angiò-Valois]], il quale venne sconfitto dopo ripetute battaglie presso [[Afragola]].


=== La morte del fratello Giovanni e la guerra contro i Manfredi ===
=== La morte del fratello Giovanni e la guerra contro i Manfredi ===
Nel [[1399]], mentre si trova nel Regno di Napoli, Alberico riceve la notizia della morte del fratello Giovanni, impiccato in piazza a [[Bologna]] per crimini di razzia e strage. Alberico dichiara così guerra al faentino [[Astorre I Manfredi|Astorre Manfredi]], responsabile dell'esecuzione del fratello, attaccando [[Faenza]] nell'ottobre dello stesso anno e conducendo un lungo assedio alla città assieme a [[Pino II Ordelaffi|Pino Ordelaffi]].
Nel [[1399]], mentre si trovava nel Regno di Napoli, Alberico ricevette la notizia della morte del fratello Giovanni, impiccato in piazza a [[Bologna]] per crimini di razzia e strage. Alberico dichiarò così guerra ad [[Astorre I Manfredi]], responsabile dell'esecuzione del fratello, attaccando [[Faenza]] nell'ottobre dello stesso anno e conducendo un lungo assedio alla città insieme a [[Pino II Ordelaffi]].


Nel [[1401]] si allea con [[Giovanni I Bentivoglio]], [[signore di Bologna]], il quale però si accorda in segreto con il [[Astorre I Manfredi|Manfredi]], costringendo Alberico a liberare l'assedio a Faenza. Adirato dal tradimento, invade il Bolognese<ref>Per la cronologia delle operazioni di Alberico da Barbiano a Bologna, si veda Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, ''Corpus chronicorum bononiensium'', vol. 8, cap. 1, 2ª ed., Città di Castello, S. Lapi, 1939, pp. 683-686.</ref> e comincia una lunga guerra contro il Bentivoglio e il Manfredi. Nel [[1402]] partecipa alla [[Battaglia di Casalecchio]], che segna la presa di Bologna da parte di Gian Galeazzo Visconti. Il duca di Milano venne acclamato signore della città, ma morì pochi mesi dopo di [[peste]].
Nel [[1401]] si alleò con [[Giovanni I Bentivoglio]], [[Signore (titolo nobiliare)|signore]] di Bologna, il quale però si accordò in segreto con il Manfredi, costringendo Alberico a liberare l'assedio a Faenza. Adirato dal tradimento, invase il bolognese<ref>Per la cronologia delle operazioni di Alberico da Barbiano a Bologna, si veda Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, ''Corpus chronicorum bononiensium'', vol. 8, Città di Castello, 1939, pp. 683-686.</ref> e cominciò una lunga guerra contro il Bentivoglio e il Manfredi. Nel [[1402]] partecipò alla [[battaglia di Casalecchio]], che segnò la presa di Bologna da parte di Gian Galeazzo Visconti, che tuttavia morì pochi mesi dopo di [[peste]].


Nel [[1403]] [[Papa Bonifacio IX]] nomina [[Cardinal legato|legato]] per [[Bologna]] e la [[Romagna]] il cardinale [[Baldassarre Cossa]], affidandogli l'incarico di recuperare i territori perduti dalla Chiesa<ref>Mario Tabanelli, ''op. cit.'', p. 121.</ref>. Alberico, capitano delle milizie pontificie in Romagna, ne approfitta per assaltare Faenza. Astorre Mandredi viene costretto alla resa ed a cedere Faenza alla Chiesa. Poi parte per l'esilio a Rimini ([[1404]]).
Nel [[1403]] [[Papa Bonifacio IX]] nominò [[Cardinal legato|legato]] per Bologna e la Romagna il cardinale [[Baldassarre Cossa]], affidandogli l'incarico di recuperare i territori perduti dallo Stato Pontificio<ref>Mario Tabanelli, ''op. cit.'', p. 121.</ref>. Alberico, capitano delle milizie pontificie in Romagna, ne approfittò per assaltare Faenza. Astorre Mandredi fu costretto quindi a cedere Faenza e a partire in l'esilio a [[Rimini]] ([[1404]]).


Alberico aspirava a diventare signore di Faenza, ma le sue ambizioni rimasero insoddisfatte. L'anno seguente (1405) cercò di rifarsi con il cardinale Cossa. Bologna fu colpita da una grave carestia. Il cardinale acquistò una grossa partita di [[grano]] nelle Marche. Il carico, diretto a Bologna, passò dalla Romagna. Qui fu intercettato da Alberico e non giunse mai nel capoluogo felsineo. Il legato pontificio si recò di persona a trattare con il condottiero. Alberico chiese al Cossa 10.000 ducati d'oro e la conferma dei castelli che possedeva<ref>L'elenco comprendeva: Barbiano, Castel Bolognese, Cotignola, Granarolo, Lugo, Massa Lombarda, Riolo, Zagonara e, nell'imolese, Dozza, Fiagnano, Monte Catone e Tossignano.</ref>. Il cardinale rifiutò la proposta e trovò un accordo con Firenze. In cambio i fiorentini ebbero il comune di [[Piancaldoli]]<ref>Mario Tabanelli, ''op. cit.'', p. 125.</ref>.
Alberico aspirava a diventare signore di Faenza, ma le sue ambizioni rimasero insoddisfatte. L'anno seguente ([[1405]]) cercò di rifarsi con il cardinale Cossa. Bologna fu colpita da una grave carestia. Il cardinale acquistò una grossa partita di [[grano]] nelle [[Marche]]. Il carico, diretto a Bologna, passò dalla Romagna. Qui fu intercettato da Alberico e non giunse mai nel capoluogo felsineo. Il legato pontificio si recò di persona a trattare con il condottiero. Alberico chiese al Cossa 10.000 [[Ducato (moneta)|ducati]] e la conferma dei castelli che possedeva<ref>L'elenco comprendeva Barbiano, Castel Bolognese, Cotignola, Granarolo, Lugo, Massa Lombarda, Riolo, Zagonara e, nell'imolese, Dozza, Fiagnano, Monte Catone e Tossignano.</ref>. Il cardinale rifiutò la proposta e trovò un accordo con la Repubblica di Firenze, che in cambio ricevette il feudo di [[Piancaldoli]]<ref>Mario Tabanelli, ''op. cit.'', p. 125.</ref>.


Convocato un consiglio generale a Bologna, Baldassarre Cossa dichiarò guerra ad Alberico. Come primo atto fece emanare una [[scomunica]] contro di lui da [[Papa Innocenzo VII]] (giugno 1405). Successivamente ordinò alle milizie di attaccare i possedimenti di Alberico. Furono prese: Dozza, Castel Bolognese e Massa Lombarda (luglio 1405). In settembre le due parti concordarono una tregua.
Convocato un consiglio generale a Bologna, Baldassarre Cossa dichiarò guerra ad Alberico. Come primo atto fece emanare una [[scomunica]] contro di lui da [[Papa Innocenzo VII]] (giugno 1405). Successivamente ordinò alle milizie di attaccare i possedimenti di Alberico. Furono prese Castel Bolognese, Dozza e Massa Lombarda (luglio 1405). In settembre le due parti concordarono una tregua.


=== Gli ultimi anni ===
=== Gli ultimi anni ===
Nel [[1408]] Alberico seguì il re Ladislao d'Angiò-Durazzo nel suo tentativo di conquistare Roma, assediando [[Ostia (Roma)|Ostia]] (16 aprile) e giungendo alle porte della città papale, dove entrò il 21 dello stesso mese fingendosi protettore di [[Papa Gregorio XII]]. Nel giugno dello stesso anno prese le terre vicine a [[Perugia]], [[Orte]], [[Amelia (Italia)|Amelia]], [[Terni]] e [[Rieti]].
Nel [[1408]] Alberico seguì il Re Ladislao d'Angiò-Durazzo nel suo tentativo di conquistare Roma, assediando [[Ostia (Roma)|Ostia]] (16 aprile) e giungendo alle porte della città papale, dove entrò il 21 dello stesso mese fingendosi protettore di [[Papa Gregorio XII]]. Nel giugno dello stesso anno prese [[Perugia]], [[Orte]], [[Amelia (Italia)|Amelia]], [[Terni]] e [[Rieti]].


Sulla sua morte troviamo pareri molto discordanti: alcune cronache collocano il suo trapasso alcuni anni prima rispetto alla data canonica del [[1409]], confermata invece da [[Ludovico Antonio Muratori]] e da Luigi Baldisseri, uno storico locale. Anche sul giorno e sul luogo della morte non sembra esserci univocità: mentre il Muratori propende per il [[26 aprile]], il Baldisseri, citando un atto del re di Napoli Ladislao d'Angiò-Durazzo, datato 12 maggio e conservato, a suo dire, nell'[[Archivio di Stato di Napoli]], pone la morte del condottiero l'[[11 maggio]], a seguito della conferma del suo testamento avvenuto il giorno successivo<ref name="A">Luigi Baldisseri, ''I castelli di Cunio e Barbiano'', Imola, Cooperativa tipografica Giulio Ungania, 1911, p. 98.</ref>. Il condottiero, infatti, sempre secondo il Baldisseri, sarebbe morto in [[Etruria]] mentre si trovava accampato vicino a [[Cortona]]<ref name="A" />, ove apprese la notizia di una nuova rivolta, questa volta nella sua terra natia: il figlio [[Manfredo da Barbiano|Manfredo]], signore di [[Lugo di Romagna|Lugo]] aveva dichiarato guerra al fratello ribelle [[Lodovico da Barbiano|Lodovico]], signore di [[Zagonara]], schieratosi assieme al cardinale [[Antipapa Giovanni XXIII|Cossa]], divenuto suo acerrimo nemico, ed intenzionato ad occupare la città. Alberico, già soffrente per una [[Pielonefrite]] ("mal di uretra"), non fece mai ritorno nella sua Romagna. Il suo corpo fu traslato nel vicino [[Castello di Pieve del Vescovo]], presso [[Perugia]].<ref>Pietro Caporilli, ''Uomini di ferro'', Roma, Tipografia del Littorio, 1932.</ref>
Sulla sua morte troviamo pareri discordanti: alcune cronache collocano il suo trapasso alcuni anni prima rispetto alla data canonica del [[1409]], confermata invece da [[Ludovico Antonio Muratori]] e Luigi Baldisseri, uno storico locale. Anche sul giorno e sul luogo della morte non sembra esserci univocità: mentre il Muratori propende per il 26 aprile, il Baldisseri, citando un atto del Re Ladislao d'Angiò-Durazzo, datato 12 maggio e conservato nell'[[Archivio di Stato di Napoli]], pone la morte del condottiero all'11 maggio, a seguito della conferma del suo testamento, avvenuta il giorno successivo<ref name = "Luigi Baldisseri">Luigi Baldisseri, ''I castelli di Cunio e Barbiano'', Imola, Cooperativa tipografica Giulio Ungania, 1911, p. 98.</ref>. Il condottiero, infatti, sempre secondo il Baldisseri, sarebbe morto in [[Etruria]] mentre si trovava accampato vicino a [[Cortona]]<ref name = "Luigi Baldisseri"/>, ove apprese la notizia di una nuova rivolta, questa volta nella sua terra natia: il figlio [[Manfredo da Barbiano|Manfredo]], signore di Lugo, aveva dichiarato guerra al fratello ribelle [[Lodovico da Barbiano|Lodovico]], signore di Zagonara, schieratosi assieme al cardinale Cossa, divenuto suo acerrimo nemico, ed intenzionato ad occupare la città. Alberico, già sofferente per una [[pielonefrite]], non fece mai ritorno in Romagna. Il suo corpo fu traslato nel vicino [[Castello di Pieve del Vescovo]], presso Perugia<ref>Pietro Caporilli, in ''Uomini di ferro'', Roma, Tipografia del Littorio, 1932.</ref>.


== Discendenza ==
== Discendenza ==
Alberico ebbe due mogli<ref>{{Cita web|url=https://vivereilmedioevo-saggezzadelpassato.blogspot.it/2011/05/alberico-da-barbiano.html|titolo=Copia archiviata|accesso=10 maggio 2012|urlarchivio=https://web.archive.org/web/20120731061927/http://vivereilmedioevo-saggezzadelpassato.blogspot.it/2011/05/alberico-da-barbiano.html|dataarchivio=31 luglio 2012|urlmorto=sì}} Biografia di Alberico da Barbiano su ''vivereilmedioevo.it''.</ref>, ma soltanto dalla seconda, Beatrice [[da Polenta]], sposata nel [[1380]], ebbe prole: tre figli, [[Lodovico da Barbiano|Lodovico]], [[Manfredo da Barbiano|Manfredo]] e Lippa, e una figlia, Giovanna. Di Beatrice da Polenta, figlia di [[Guido III da Polenta|Guido]], si hanno notizie piuttosto scarse, mentre della prima moglie, invece, non se ne conosce l'identità.
[[File:Araldo.barbiano.jpg|miniatura|destra|upright = 1.6|Pannello celebrativo di Alberico a [[Barbiano (Cotignola)|Barbiano]]]]
Alberico ebbe due mogli<ref>{{cita web|url = https://vivereilmedioevo-saggezzadelpassato.blogspot.it/2011/05/alberico-da-barbiano.html |titolo = Copia archiviata|accesso = 10 maggio 2012|urlmorto = sì|urlarchivio = https://web.archive.org/web/20120731061927/http://vivereilmedioevo-saggezzadelpassato.blogspot.it/2011/05/alberico-da-barbiano.html |dataarchivio = 31 luglio 2012}} Biografia di Alberico da Barbiano su vivereilmedioevo.it</ref>, ma soltanto dalla seconda, Beatrice [[da Polenta]], sposata nel [[1380]], ebbe una prole: tre figli, [[Lodovico da Barbiano|Lodovico]], [[Manfredo da Barbiano|Manfredo]] e Lippa, e una figlia, Giovanna. Di Beatrice da Polenta, figlia di [[Guido III da Polenta]], si hanno notizie piuttosto scarse; della prima moglie, invece, non se ne conosce l'identità.


== Il Palio ==
== Il Palio ==
[[File:Araldo.barbiano.jpg|thumb|upright=2|Pannello celebrativo di Alberico a [[Barbiano (Cotignola)|Barbiano]]]]
Ogni anno, l'ultimo fine settimana di maggio, si svolge il Palio di Alberico nel suo paese natale, [[Barbiano (Cotignola)|Barbiano]]. Durante la festa i quattro rioni, dopo una lunga sfilata per le vie del paese in abiti medievali, si affrontano in vari giochi di squadra per vincere il Palio e l'ambito trofeo rappresentato dalla riproduzione del suo elmo e del vessillo donatogli dal Papa.
Ogni anno, l'ultimo fine settimana di maggio, si svolge il Palio di Alberico nel suo paese natale, [[Barbiano (Cotignola)|Barbiano]]. Durante la festa i quattro rioni, dopo una lunga sfilata per le vie del paese in abiti medievali, si affrontano in vari giochi di squadra per vincere il Palio e l'ambito trofeo rappresentato dalla riproduzione del suo elmo e del vessillo donatogli dal Papa.


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== Bibliografia ==
== Bibliografia ==
* [[Ariodante Fabretti]], ''Biografie dei capitani venturieri dell'Umbria, scritte ed illustrate con documenti'', Montepulciano, 1842.
* [[Claudio Rendina]], ''I capitani di ventura'', Roma, Newton Compton, 1994.
* [[Claudio Rendina]], ''Capitani di ventura'', Roma, Newton Compton, 1994.
* Daniele Filippi, ''Il mio paese: appunti su Barbiano'', Cassa rurale ed artigianale di Faenza, 1991.
* Daniele Filippi, ''Il mio paese: appunti su Barbiano'', Cassa rurale ed artigianale di Faenza, 1991.
* Domenico Conti, ''Ricerca storica su Barbiano'', Lugo, 1988.
* Domenico Conti, ''Ricerca storica su Barbiano'', Lugo, 1988.
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Disambiguazione – Se stai cercando l'incrociatore da guerra, vedi Alberico da Barbiano (incrociatore).
Alberico da Barbiano
Conte di Cunio
Stemma
Stemma
In carica13851409
PredecessoreAlidosio da Barbiano
SuccessoreLodovico da Barbiano
TrattamentoConte
Altri titoliGonfaloniere della Chiesa
Senatore di Roma
Gran Connestabile del Regno di Napoli
NascitaBarbiano, 1349
MorteCortona, 26 aprile/11 maggio 1409
DinastiaDa Barbiano
PadreAlidosio da Barbiano
Madre?
Coniugi?
Beatrice da Polenta
FigliLodovico
Manfredo
Lippa
Giovanna
ReligioneCattolicesimo
Alberico da Barbiano
SoprannomeAlberico Agidario
NascitaBarbiano, 1349
MorteCortona, 1409
Cause della mortePielonefrite
Luogo di sepolturaCastello di Pieve del Vescovo, Perugia
Dati militari
Forza armataMercenari
GradoCondottiero
GuerreGuerra degli otto santi ed altre
BattaglieBattaglia di Marino (1379), battaglia di Casalecchio (1402) ed altre
Comandante diCompagnia di San Giorgio
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Alberico da Barbiano (Barbiano, 1349Cortona, 26 aprile/11 maggio 1409) è stato un condottiero e capitano di ventura italiano.

Fu conte di Cunio, signore di Castel Bolognese, Conversano, Cotignola, Dozza, Giovinazzo, Granarolo, Lugo, Montecchio Emilia, Nogarole Rocca, Tossignano e Trani, Gonfaloniere della Chiesa, senatore di Roma e gran connestabile del Regno di Napoli.

Biografia

«L'Italia osservava con dispetto quelle vaganti orde d'avventicci, scapigliate, feroci, bramose non altro che di preda, e rotte ad ogni improntitudine: [...] aspettava un genio che a quelle disordinate milizie mostrasse in che è locata la gloria, e dove l'infamia; le trascinasse nelle aperte campagne, le mettesse in militare ordinanza, e le spignesse salde, compatte e meglio agguerrite a mutare i destini delle città, a volgere in fuga scompigliata fanti e cavalli stranieri. Venne il genio cui sospirava l'Italia: venne Alberico da Barbiano.»

L'infanzia

Alberico, figlio di Alidosio, discendente da un'antica famiglia nobile di origine carolingia, i Da Barbiano, conti di Cunio e signori di Barbiano, Lugo e Zagonara, nacque a Barbiano nel 1349.

Sin da ragazzo mostrò un temperamento «infaticabile, senza paura e pieno di amor di gloria»[1] che lo portò ben presto a tralasciare gli studi per porsi al servizio di Giovanni Acuto; narra infatti un aneddoto che, dopo esser stato sconfitto dal fratello Giovanni mentre si esercitavano con la spada, egli giurò di lasciarsi morire di fame rifiutando ogni tipo di cibo piuttosto che sopravvivere ad un tale disonore, che venne riscattato in seguito ad un successivo incontro.

Le prime battaglie: la Compagnia di San Giorgio

Nel 1365, sedicenne, Alberico e la sua famiglia entrarono in conflitto con i Visconti per il possesso di Zagonara: la disputa ebbe termine con l'intervento di Daniele Del Carretto, rettore pontificio della Romagna.

Nel 1375 affiancò Giovanni Acuto nella guerra degli Otto Santi contro la Repubblica di Firenze e un anno più tardi (1376) partecipò all'eccidio di Faenza. Nel 1377, dopo la distruzione di Cesena, avvenuta il 1º febbraio, Barnabò Visconti lo prese al proprio servizio, come aveva fatto in precedenza col padre Alidosio.

L'anno seguente (1378) Alberico fondò la sua Compagnia di San Giorgio, disgustato dalle razzie e dalle stragi compiute dai capitani di ventura stranieri: essa, infatti, divenne la prima compagnia di ventura interamente composta da miliziani italiani; la prima battaglia a cui partecipò la compagnia fu quella che vedeva contrapposti i Visconti e gli Scaligeri, alleati con i Da Carrara.

Dalla sua compagnia emersero in seguito molti condottieri famosi come Braccio da Montone, Ceccolino Michelotti, Facino Cane, Jacopo Caldora, Jacopo Dal Verme, Muzio Attendolo Sforza, Ottobuono de' Terzi ed Ugolotto Biancardo.

Inoltre, sempre in questi anni, si preoccupò di innovare l'arte guerriera modificando le barde dei cavalli, rendendole delle vere e proprie coperte d'acciaio lunghe fino alle ginocchia del quadrupede, ideando nuove tecniche di carica e munendo il muso del destriero di uno spuntone che all'occorrenza diveniva micidiale nell'assalto; aggiunse, inoltre, la ventaglia e il collare all'elmo del cavaliere per proteggerne il collo.

Al servizio di Papa Urbano VI: la battaglia di Marino

Lo spirito battagliero di Alberico e la potenza della sua compagnia ebbero subito una grande fama su tutta la penisola: quando le milizie mercenarie bretoni dell'Antipapa Clemente VII scesero in Italia intenzionate a deporre Papa Urbano VI, egli rispose prontamente alla chiamata di aiuto da parte di quest'ultimo e di Caterina da Siena. Nella battaglia di Marino (1379) sconfisse le milizie bretoni e guascone comandate da Giovanni di Maléstroit, Luigi di Montjoie e Bernardo della Sala, sbaragliando le truppe avversarie in meno di 5 ore: verso sera egli entrò trionfante a Roma, acclamato da una moltitudine di persone; il Papa, recatosi incontro al vincitore a piedi nudi, lo nominò "Cavaliere di Cristo" e gli conferì solennemente nella Basilica di San Pietro un grande stendardo bianco attraversato da una croce rossa, recante il motto latino dorato "LI-IT-AB-EXT" ("Liberata Italia ab exteris", cioè "L'Italia liberata dagli stranieri"). Venne inoltre nominato senatore dello Stato Pontificio[2].

Vessillo donato ad Alberico da Papa Urbano VI

In seguito alla vittoria Santa Caterina scrisse una lettera ad Alberico per esortarlo a rimanere schierato col pontefice:

«Al nome di Gesù Crocefisso e Maria dolce. Confortatevi, confortatevi in Cristo, dolce Gesù, tenendo dinanzi a voi il sangue sparso con tanto fuoco di amore, stante nel campo col gonfalone della santissima Croce. Pensate che il sangue di questi gloriosissimi martiri sempre guida al cospetto di Dio, chiedendo sopra di voi l'aiutorio suo. Pensate che questa terra [Roma] è il giardino di Cristo benedetto ed il principio della nostra fede e però ciascuno, per se medesimo, ci debbe essere inanimato.»

Sconfitti i bretoni, giunse in aiuto di Carlo III d'Angiò-Durazzo (1380), al quale era stato sottratto il legittimo trono dalla Regina Giovanna I d'Angiò, schieratasi dalla parte dei bretoni per paura di essere deposta; nello scontro egli sconfisse lo stesso Giovanni Acuto dal quale aveva appreso l'arte militare. Per riconoscenza, Carlo III lo nominò gran connestabile del Regno di Napoli.

Nel 1385 liberò, assieme al fratello Giovanni, la natìa Barbiano, occupata dalle truppe bolognesi di Giacomo Boccadiferro in seguito alla morte del loro padre Alidosio.

Al soldo dei Visconti

Nel 1392 Alberico fu sconfitto e fatto prigioniero presso Ascoli Piceno da Luigi I d'Angiò-Valois, intenzionato anch'egli, come i bretoni, a deporre il pontefice. Il condottiero fu riscattato, per la somma di 3.000 fiorini, da Gian Galeazzo Visconti, il quale lo accolse poi nella sua compagnia (24 aprile 1392).

Sotto le insegne del Ducato di Milano, Alberico entrò a Firenze nel 1397 assieme al fratello Giovanni, saccheggiando e devastando la città. Subito dopo venne richiamato in Lombardia da Gian Galeazzo, deciso a sbaragliare una volta per tutte le truppe del duca Francesco Gonzaga, alleato dei fiorentini; assieme a Jacopo Dal Verme sbaragliò le truppe del Gonzaga presso Borgoforte, ma all'ultimo momento, poco prima della battaglia decisiva, Gian Galeazzo firmò un armistizio con la potente famiglia mantovana.

Licenziatosi dall'incarico visconteo, Alberico ricevette la chiamata d'aiuto dal Re del Regno di Napoli Ladislao d'Angiò-Durazzo, assediato nuovamente dai francesi, guidati questa volta da Luigi II d'Angiò-Valois, il quale venne sconfitto dopo ripetute battaglie presso Afragola.

La morte del fratello Giovanni e la guerra contro i Manfredi

Nel 1399, mentre si trovava nel Regno di Napoli, Alberico ricevette la notizia della morte del fratello Giovanni, impiccato in piazza a Bologna per crimini di razzia e strage. Alberico dichiarò così guerra ad Astorre I Manfredi, responsabile dell'esecuzione del fratello, attaccando Faenza nell'ottobre dello stesso anno e conducendo un lungo assedio alla città insieme a Pino II Ordelaffi.

Nel 1401 si alleò con Giovanni I Bentivoglio, signore di Bologna, il quale però si accordò in segreto con il Manfredi, costringendo Alberico a liberare l'assedio a Faenza. Adirato dal tradimento, invase il bolognese[3] e cominciò una lunga guerra contro il Bentivoglio e il Manfredi. Nel 1402 partecipò alla battaglia di Casalecchio, che segnò la presa di Bologna da parte di Gian Galeazzo Visconti, che tuttavia morì pochi mesi dopo di peste.

Nel 1403 Papa Bonifacio IX nominò legato per Bologna e la Romagna il cardinale Baldassarre Cossa, affidandogli l'incarico di recuperare i territori perduti dallo Stato Pontificio[4]. Alberico, capitano delle milizie pontificie in Romagna, ne approfittò per assaltare Faenza. Astorre Mandredi fu costretto quindi a cedere Faenza e a partire in l'esilio a Rimini (1404).

Alberico aspirava a diventare signore di Faenza, ma le sue ambizioni rimasero insoddisfatte. L'anno seguente (1405) cercò di rifarsi con il cardinale Cossa. Bologna fu colpita da una grave carestia. Il cardinale acquistò una grossa partita di grano nelle Marche. Il carico, diretto a Bologna, passò dalla Romagna. Qui fu intercettato da Alberico e non giunse mai nel capoluogo felsineo. Il legato pontificio si recò di persona a trattare con il condottiero. Alberico chiese al Cossa 10.000 ducati e la conferma dei castelli che possedeva[5]. Il cardinale rifiutò la proposta e trovò un accordo con la Repubblica di Firenze, che in cambio ricevette il feudo di Piancaldoli[6].

Convocato un consiglio generale a Bologna, Baldassarre Cossa dichiarò guerra ad Alberico. Come primo atto fece emanare una scomunica contro di lui da Papa Innocenzo VII (giugno 1405). Successivamente ordinò alle milizie di attaccare i possedimenti di Alberico. Furono prese Castel Bolognese, Dozza e Massa Lombarda (luglio 1405). In settembre le due parti concordarono una tregua.

Gli ultimi anni

Nel 1408 Alberico seguì il Re Ladislao d'Angiò-Durazzo nel suo tentativo di conquistare Roma, assediando Ostia (16 aprile) e giungendo alle porte della città papale, dove entrò il 21 dello stesso mese fingendosi protettore di Papa Gregorio XII. Nel giugno dello stesso anno prese Perugia, Orte, Amelia, Terni e Rieti.

Sulla sua morte troviamo pareri discordanti: alcune cronache collocano il suo trapasso alcuni anni prima rispetto alla data canonica del 1409, confermata invece da Ludovico Antonio Muratori e Luigi Baldisseri, uno storico locale. Anche sul giorno e sul luogo della morte non sembra esserci univocità: mentre il Muratori propende per il 26 aprile, il Baldisseri, citando un atto del Re Ladislao d'Angiò-Durazzo, datato 12 maggio e conservato nell'Archivio di Stato di Napoli, pone la morte del condottiero all'11 maggio, a seguito della conferma del suo testamento, avvenuta il giorno successivo[7]. Il condottiero, infatti, sempre secondo il Baldisseri, sarebbe morto in Etruria mentre si trovava accampato vicino a Cortona[7], ove apprese la notizia di una nuova rivolta, questa volta nella sua terra natia: il figlio Manfredo, signore di Lugo, aveva dichiarato guerra al fratello ribelle Lodovico, signore di Zagonara, schieratosi assieme al cardinale Cossa, divenuto suo acerrimo nemico, ed intenzionato ad occupare la città. Alberico, già sofferente per una pielonefrite, non fece mai ritorno in Romagna. Il suo corpo fu traslato nel vicino Castello di Pieve del Vescovo, presso Perugia[8].

Discendenza

Alberico ebbe due mogli[9], ma soltanto dalla seconda, Beatrice da Polenta, sposata nel 1380, ebbe prole: tre figli, Lodovico, Manfredo e Lippa, e una figlia, Giovanna. Di Beatrice da Polenta, figlia di Guido, si hanno notizie piuttosto scarse, mentre della prima moglie, invece, non se ne conosce l'identità.

Il Palio

Pannello celebrativo di Alberico a Barbiano

Ogni anno, l'ultimo fine settimana di maggio, si svolge il Palio di Alberico nel suo paese natale, Barbiano. Durante la festa i quattro rioni, dopo una lunga sfilata per le vie del paese in abiti medievali, si affrontano in vari giochi di squadra per vincere il Palio e l'ambito trofeo rappresentato dalla riproduzione del suo elmo e del vessillo donatogli dal Papa.

Note

  1. ^ La descrizione fu fatta dal cardinale Anglico de Grimoard nel 1371. Riportata da Domenico Conti, in Ricerca storica su Barbiano, Lugo, 1988.
  2. ^ Ercole Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino, UTET, 1898, p. 343.
  3. ^ Per la cronologia delle operazioni di Alberico da Barbiano a Bologna, si veda Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Corpus chronicorum bononiensium, vol. 8, Città di Castello, 1939, pp. 683-686.
  4. ^ Mario Tabanelli, op. cit., p. 121.
  5. ^ L'elenco comprendeva Barbiano, Castel Bolognese, Cotignola, Granarolo, Lugo, Massa Lombarda, Riolo, Zagonara e, nell'imolese, Dozza, Fiagnano, Monte Catone e Tossignano.
  6. ^ Mario Tabanelli, op. cit., p. 125.
  7. ^ a b Luigi Baldisseri, I castelli di Cunio e Barbiano, Imola, Cooperativa tipografica Giulio Ungania, 1911, p. 98.
  8. ^ Pietro Caporilli, in Uomini di ferro, Roma, Tipografia del Littorio, 1932.
  9. ^ Copia archiviata, su vivereilmedioevo-saggezzadelpassato.blogspot.it. URL consultato il 10 maggio 2012 (archiviato dall'url originale il 31 luglio 2012). Biografia di Alberico da Barbiano su vivereilmedioevo.it.

Bibliografia

  • Claudio Rendina, I capitani di ventura, Roma, Newton Compton, 1994.
  • Daniele Filippi, Il mio paese: appunti su Barbiano, Cassa rurale ed artigianale di Faenza, 1991.
  • Domenico Conti, Ricerca storica su Barbiano, Lugo, 1988.
  • Ercole Ricotti, Storia delle compagnie di ventura in Italia, Torino, UTET, 1898.
  • Francesco Lomonaco, Vite de' famosi capitani d'Italia, vol. 2, Milano, 1804.
  • Galeazzo Gualdo Priorato, Vite, et azzioni di personaggi militari, e politici, Vienna, 1674.
  • Giulio Roscio, Agostino Mascardi, Fabio Leonida, Ottavio Tronsarelli et al., Ritratti et elogii di capitani illvstri, Roma, 1646.
  • Luigi Baldisseri, I castelli di Cunio e Barbiano, Imola, Cooperativa tipografica Giulio Ungania, 1911.

Voci correlate

Collegamenti esterni

Predecessore Conte di Cunio Successore
Alidosio da Barbiano 1385-1409 Lodovico da Barbiano
Predecessore Gonfaloniere della Chiesa Successore
? 1403-? ?
Predecessore Gran Connestabile del Regno di Napoli Successore
Giannotto Protogiudice 1384-1394 Francesco della Ratta
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