Shahādah

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Shahādah
La shahādah in una ceramica di İznik (Turchia)

La shahādah (in arabo شهادة?), traslitterata anche come shahada, è la testimonianza di fede con cui un musulmano dichiara di credere in un solo e unico Dio (Allah) e nella missione profetica di Maometto. Fa parte dei cinque pilastri dell'Islam.

La shahādah come testimonianza[modifica | modifica wikitesto]

La formula araba, secondo una prima traduzione di Sa'd ibn Abi Waqqas, suona:

«Ašhadu an lā ilāha illā Allāh - wa ašhadu anna Muḥammadan Rasūl Allāh»

cioè:

«Testimonio che non c'è divinità se non Dio (Allāh) e testimonio che Muhammad è il Suo Messaggero.»

La shahādah costituisce condizione essenziale per diventare musulmano, qualora la formula sia espressa con retta intenzione (niyya) e sia pronunciata in modo intelligibile di fronte a due testimoni giuridicamente idonei.[1] Viene talora definita al-shahādatāni ("le due testimonianze"), in quanto costituente due distinte dichiarazioni: quella di adesione al monoteismo islamico (Tawḥīd) e quella di fede nella missione profetica di Maometto.[2] Tale professione-testimonianza di fede non compare in questa forma condensata nel Corano, anche se, disseminati nel testo, si possono ritrovare tutti gli elementi che la compongono.[3] La shahādah è più volte recitata nel corso della preghiera islamica (ṣalāt) ed è spesso pronunciata dai musulmani per sottolineare la propria fede in circostanze dal forte contenuto emozionale.

La shahādah sui vessilli[modifica | modifica wikitesto]

La formula compare, spesso coi colori islamici bianco, nero e verde, all'interno di vessilli di entità statali in cui l'Islam è religione di Stato (Somaliland, Arabia Saudita e Repubblica Islamica dell'Afghanistan) e di organizzazioni jihadiste (i Talebani, l'ISIS, il Fronte al-Nusra e il successore Tahrir al-Sham, gli Al-Shabaab e al Qaida), nonché di altre organizzazioni di natura islamica come il Fronte di Liberazione Nazionale Moro.

In particolare la bandiera saudita, a causa della sacralità della formula, è l'unica bandiera nazionale a non essere mai issata a mezz'asta per lutto.

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Alberto Ventura, «Gli atti di culto», in: Islām, Storia delle religioni (a cura di G. Filoramo), Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 120-121.

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