Tragelaphus oryx

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
(Reindirizzamento da Antilope alcina)
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Come leggere il tassoboxProgetto:Forme di vita/Come leggere il tassobox
Come leggere il tassobox
Antilope alcina
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
DominioEukaryota
RegnoAnimalia
PhylumChordata
ClasseMammalia
OrdineArtiodactyla
FamigliaBovidae
SottofamigliaBovinae
TribùTragelaphini
GenereTragelaphus
SpecieT. oryx
Nomenclatura binomiale
Tragelaphus oryx
(Pallas, 1766)
Sinonimi

Taurotragus oryx
Pallas, 1766

Areale
Due antilopi alcine che si abbeverano nel parco nazionale di Etosha, in Namibia.

L'antilope alcina (Tragelaphus oryx (Pallas, 1766)), nota anche come eland (o elano) comune, è una grossa antilope originaria delle savane e delle pianure dell'Africa orientale e australe. Un maschio adulto misura circa 1,6 m di altezza al garrese (le femmine sono 20 cm più basse) e può raggiungere i 942 kg di peso, anche se il peso medio si aggira sui 500-600 kg (340-445 kg nelle femmine).

Di dimensioni leggermente inferiori a quelle dell'antilope derbiana, è la seconda antilope più grande del mondo.[2] Venne descritta ufficialmente da Peter Simon Pallas nel 1766.

È una specie prevalentemente erbivora, che si nutre soprattutto di erba e foglie. Può radunarsi in mandrie che possono raggiungere le 500 unità, ma non è un animale territoriale. Predilige habitat con un'ampia varietà di piante da fiore, come savane, aree boschive e praterie aperte e di montagna; evita le fitte foreste. Per comunicare con i conspecifici e avvertirli di un pericolo, utilizza forti latrati, vari movimenti posturali e il segnale del flehmen. L'antilope alcina viene sfruttata per la pelle e la carne e nell'Africa australe è stata addomesticata. Il suo latte ha un maggiore contenuto di grassi di quello di vacca e può conservarsi più a lungo senza venire pastorizzato.

È presente in Angola, Botswana, eSwatini, Etiopia, Kenya, Lesotho, Malawi, Mozambico, Namibia, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda, Sudafrica, Sudan del Sud, Tanzania, Uganda, Zambia e Zimbabwe, ma è scomparsa da tempo dal Burundi. Sebbene la sua popolazione sia in diminuzione, viene classificata come «specie a rischio minimo» (Least Concern) dall'Unione internazionale per la conservazione della natura.

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Il nome scientifico dell'antilope alcina è Tragelaphus oryx, costituito da tre parole diverse: tragos, elaphus e oryx. Tragos è il nome greco del maschio della capra,[3] mentre elaphos, sempre di origine greca, significa «cervo».[4] Oryx (genitivo orygos), una parola che sia in latino che in greco significa «piccone», è il nome con cui veniva chiamata una specie di antilope nordafricana, l'orice dalle corna a sciabola, per le sue corna appuntite.[5]

Il nome «eland» è un termine afrikaans che significa «alce»;[6] di origine baltica (cfr. il lituano élnis, che vuol dire «cervo»), era giunto in occidente come ellan (in francese) negli anni 1610 o Elend (in tedesco).[7][8] Quando i coloni olandesi si stabilirono nel Capo di Buona Speranza, fondando la Colonia del Capo olandese, chiamarono così questo grande erbivoro, che ricordava loro un po' un alce. In olandese l'animale viene chiamato appunto eland antelope per distinguerlo dal semplice eland, il cervide delle foreste boreali.[6]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

L'antilope alcina appartiene alla tribù Tragelaphini, le antilopi dalle corna a spirale. Presenta uno spiccato dimorfismo sessuale, con le femmine molto più piccole dei maschi.[9] Queste pesano 300-600 kg, misurano 200-280 cm dal muso alla base della coda e sono alte 125-153 cm al garrese. I maschi pesano 400-942 kg[10] (anche se possono raggiungere i 1000 kg),[11] sono lunghi 240-345 cm dal muso alla base della coda e sono alti 150-183 cm al garrese. La coda è lunga 50-90 cm.[2]

Scheletro di antilope alcina

L'aspetto del manto varia a seconda dell'areale: gli esemplari che vivono nella parte settentrionale dell'areale presentano segni distintivi (strisce sul torso, segni sulle zampe, giarrettiere scure e una cresta lungo la spina dorsale) che sono assenti negli esemplari meridionali.[12] Fatta eccezione per la ruvida criniera, il manto è liscio. Le femmine sono di colore marroncino, mentre i maschi sono più scuri, con una sfumatura grigio-bluastra. Questi ultimi possono presentare anche una serie di strisce bianche verticali sui fianchi (soprattutto negli esemplari di alcune parti del Karoo, in Sudafrica). Man mano che invecchiano, il manto dei maschi diventa più grigio. Questi hanno inoltre un folto ciuffo di pelliccia sulla fronte e una grande giogaia sulla gola.[2]

Le corna, presenti in entrambi i sessi, sono diritte e si avvitano con una spirale costante (simile a quella del tragelafo striato). Sono visibili come piccoli bozzi già nei neonati e crescono rapidamente durante i primi sette mesi.[13] Le corna dei maschi sono più spesse e più corte di quelle delle femmine (43-66 cm di lunghezza contro 51-69 cm) e mostrano una spirale più stretta. I maschi usano le corna durante la stagione degli amori per lottare e scontrarsi a testate con i rivali, mentre le femmine le usano per proteggere i piccoli dai predatori.[2]

L'alcina è la più lenta delle antilopi: pur raggiungendo una velocità massima di soli 40 km/h, si stanca rapidamente. Tuttavia, può mantenere un'andatura al trotto di 22 km/h per un periodo di tempo indefinito. È inoltre in grado di effettuare salti in alto da ferma anche di 2,5 m[12] (o persino di 3 nel caso dei giovani)[2] quando è spaventata. L'antilope alcina vive generalmente tra 15 e 20 anni, ma in cattività alcuni esemplari hanno raggiunto i 25 anni.[2]

Le mandrie di antilopi sono accompagnate da una forte serie di schiocchi la cui origine è stata oggetto di varie speculazioni. Tuttavia, si ritiene che il peso dell'animale faccia allargare le due metà degli zoccoli, e gli schiocchi sarebbero dovuti agli scatti degli zoccoli che tornano in posizione originaria quando l'animale solleva la zampa.[14] Il suono si propaga a una certa distanza dalla mandria e forse costituisce una forma di comunicazione.[11]

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

Antilope derbiana

Antilope alcina

Cudù maggiore

Nyala di montagna

Bongo

Sitatunga

Tragelafo meridionale

Tragelafo settentrionale

Nyala

Cudù minore

Albero filogenetico dei Tragelaphini (Willows-Munro et al., 2005)

L'antilope alcina venne descritta per la prima volta nel 1766 dallo zoologo e botanico tedesco Peter Simon Pallas. Appartiene alla sottofamiglia Bovinae della famiglia Bovidae dell'ordine Artiodactyla.[15] Viene attualmente classificata nel genere Tragelaphus in base alla filogenesi molecolare, ma è stata a lungo classificata nel genere Taurotragus, insieme all'antilope derbiana (T. derbianus).[2]

Sottospecie[modifica | modifica wikitesto]

Sono state descritte tre sottospecie di antilope alcina, ma la loro validità è tuttora oggetto di discussione:[1][16][2][9][13]

  • T. o. oryx Pallas, 1766 (syn: alces, barbatus, canna e oreas), l'antilope alcina del Capo, diffusa nell'Africa australe e sud-occidentale. Ha il manto marroncino e gli adulti sono privi di strisce.
  • T. o. livingstonii Sclater, 1864 (syn: kaufmanni, niediecki, selousi e triangularis), l'antilope alcina di Livingstone, diffusa nei boschi di miombo dello Zambesi centrale. Ha il manto marrone e fino a 12 strisce.
  • T. o. pattersonianus Lydekker, 1906 (syn: billingae), l'antilope alcina dell'Africa orientale o di Patterson, diffusa, come indica il nome, nell'Africa orientale. Come l'antilope alcina di Livingstone, anch'essa può avere fino a 12 strisce. Prende il nome da John Henry Patterson, che la descrisse accuratamente nel libro Spiriti nelle tenebre (1907).[17]

Genetica ed evoluzione[modifica | modifica wikitesto]

I maschi di antilope alcina hanno 31 cromosomi diploidi, le femmine 32. Il cromosoma maschile (Y) è stato traslocato nel braccio corto di un autosoma.[2] Sia il cromosoma X che il cromosoma Y si replicano tardi; inoltre, non si abbinano bene e sono variabili. I cromosomi assomigliano a quelli del cudù maggiore (Tragelaphus strepsiceros).[18]

Il maschio di antilope alcina e la femmina di cudù maggiore possono produrre un ibrido vitale di sesso maschile, anche se non è noto se sia sterile o no. Un incrocio accidentale tra un'antilope alcina dell'Africa orientale (T. o. pattersonianus) con un cudù dell'Africa orientale (T. s. bea) si è verificato allo Zoo Safari Park di San Diego, forse a causa dell'assenza di cudù maschi nella mandria. L'ibrido che ne nacque era sterile. Lo studio ha confermato i numeri cromosomici sia dell'antilope alcina che del cudù e la stranezza dei cromosomi Y attaccati. I tentativi di accoppiamento con vacche domestiche (Bos taurus) e femmine di zebù (B. indicus) indicano che queste specie non sono in grado di incrociarsi.[19] Femmine di antilope alcina in cui sono stati impiantati ovuli di bongo hanno portato a termine con successo tale gravidanza surrogata.[2]

Gli antenati della famiglia Bovidae cui l'antilope alcina appartiene comparvero circa 20 milioni di anni fa in Africa; resti fossili sono stati rinvenuti in tutta l'Africa e in Francia, ma i reperti meglio conservati sono stati trovati nell'Africa subsahariana. I primi membri della tribù Tragelaphini apparvero sei milioni di anni fa durante il Miocene superiore. Un antenato estinto dell'antilope alcina (Tragelaphus arkelli) comparve nel Pleistocene nel nord della Tanzania e il più antico T. oryx fossile comparve nell'Olocene in Algeria.[2]

Nel 2010 è stato effettuato uno studio genetico per comprendere la storia evolutiva dell'antilope alcina. Utilizzando materiale proveniente dall'Africa orientale e australe, l'analisi dei frammenti della regione di controllo del DNA mitocondriale di 122 esemplari ha rivelato informazioni riguardanti la filogeografia, la diversità genetica e la storia demografica della specie. Lo studio ha ipotizzato l'esistenza di una popolazione di lunga data nell'Africa australe e di un mosaico di refugia pleistocenici nell'Africa orientale. La somiglianza delle date ottenute da altri studi indica l'avvenimento di un evento genetico significativo intorno a 200000 anni fa.[20]

Distribuzione e habitat[modifica | modifica wikitesto]

Antilopi alcine nel Capo di Buona Speranza (Sudafrica).

Le antilopi alcine vivono nelle pianure aperte e nelle regioni collinari dell'Africa orientale e australe. Il loro areale si estende a nord fino all'Etiopia e alle zone più aride del Sudan del Sud, a ovest fino all'Angola orientale e alla Namibia e a sud fino al Sudafrica. Tuttavia, la densità di popolazione è diminuita considerevolmente a causa del bracconaggio e dell'espansione degli insediamenti umani.

Le antilopi prediligono le regioni semiaride ricoperte da cespugli e arbusti e sono presenti in praterie, aree boschive, steppe subdesertiche, steppe arbustive e regioni montuose fino a circa 4600 m di altitudine,[21] ma evitano foreste, paludi e deserti. Le zone popolate dall'antilope alcina ospitano generalmente alberi e arbusti di Acacia, Combretum, Commiphora, Diospyros, Grewia, Rhus e Ziziphus, piante dalle quali ricava anche il nutrimento.

Attualmente l'antilope alcina si può incontrare in molti parchi nazionali e riserve, tra cui il parco nazionale di Nairobi, il parco nazionale dello Tsavo orientale, il parco nazionale dello Tsavo occidentale e la riserva nazionale del Masai Mara (Kenya); il parco nazionale del Serengeti, il parco nazionale del Ruaha, il parco nazionale del Tarangire e il cratere di Ngorongoro (Tanzania); il parco nazionale dell'Akagera (Ruanda); il parco nazionale di Nyika (Malawi); il parco nazionale del lago Mburo e il parco nazionale della valle del Kidepo (Uganda); la valle del Luangwa e il parco nazionale del Kafue (Zambia); il parco nazionale Hwange, il parco nazionale di Matobo, il Thuli Parks and Wildlife Land e il parco nazionale dei Chimanimani (Zimbabwe); il parco nazionale Kruger, il parco transfrontaliero Kgalagadi, il Giant's Castle e la riserva naturale dei Suikerbosrand (Sudafrica).[22]

Le antilopi alcine occupano home range che possono raggiungere i 200-400 km² nel caso delle femmine e dei giovani e i 50 km² nel caso dei maschi.[23][24]

Biologia[modifica | modifica wikitesto]

Mandria di antilopi alcine che riposa

Le antilopi alcine sono ungulati nomadi dalle abitudini crepusculari. Mangiano al mattino e alla sera e riposano all'ombra quando fa caldo o alla luce del sole quando fa freddo. Generalmente vivono in branchi che possono contare fino a 500 unità: i singoli membri restano all'interno della mandria per un periodo variabile da alcune ore a diversi mesi. I giovani e le madri tendono a formare branchi più grandi, mentre i maschi possono separarsi in gruppi più piccoli o spostarsi da soli. I gruppi tendono a formarsi in maniera più regolare durante l'estro, soprattutto nella stagione delle piogge.[2] Nell'Africa australe le antilopi alcine si associano spesso a branchi di zebre, antilopi e orici.[25]

Le antilopi alcine comunicano tramite apposite posture, vocalizzazioni, segnali olfattivi e comportamenti di display. Si riscontra anche il flehmen, effettuato principalmente dai maschi in risposta al contatto con l'urina o i genitali femminili. Le femmine urinano per indicare la disponibilità all'accoppiamento durante il periodo adatto del loro ciclo estrale, nonché per segnalare che non sono fertili quando vengono molestate dai maschi.[2] Quando i maschi individuano un predatore nelle vicinanze, emettono latrati e tentano di attirare l'attenzione dei loro simili trottando avanti e indietro finché l'intera mandria non è consapevole del pericolo.[25] Tra i principali predatori, che prendono di mira soprattutto i piccoli, vi sono leoni, licaoni, ghepardi e iene macchiate.[2]

Alimentazione[modifica | modifica wikitesto]

Le alcine sono antilopi che pascolano.

Le antilopi alcine sono erbivori che si alimentano brucando durante gli inverni più secchi, ma si sono adattate anche a pascolare durante la stagione delle piogge, quando l'erba è più abbondante e nutriente.[2] Richiedono una dieta ricca di proteine a base di foglie succulente di piante da fiore, ma, se disponibili, assumono anche sostanze vegetali di qualità inferiore, quali piante erbacee, alberi, arbusti, graminacee, semi e tuberi.[2][21][24] Amano le graminacee dei generi Setaria e Themeda e i frutti di Securinega e Strychnos. Durante i periodi in cui le piogge sono scarse, questi grossi animali riescono a sopravvivere anche con cibo di qualità inferiore.

Ricavano l'acqua di cui necessitano soprattutto dal cibo, anche se bevono acqua quando è disponibile.[2] Essendo creature in grado di adattarsi rapidamente ai mutamenti ambientali dovuti ai cambiamenti stagionali e ad altre cause, sono anche in grado di cambiare le proprie abiitudini alimentari. Usano le corna per spezzare i rami difficili da raggiungere.[26]

Termoregolazione[modifica | modifica wikitesto]

Le antilopi alcine hanno sviluppato diversi adattamenti termoregolatori che le aiutano a resistere alle temperature estreme dei loro ambienti. Grazie ai recettori termici periferici posti sulla pelle, riescono a percepire il calore e ad aumentare o diminuire di conseguenza il raffreddamento evaporativo.[27] Nelle giornate più soleggiate, le antilopi mantengono la temperatura cutanea più fresca rispetto a quella interna aumentando l'evaporazione.[27] Ciò consente loro di sentirsi più fresche anche se la tempratura interna rimane relativamente la stessa durante l'arco del giorno. L'antilope alcina può anche conservare l'acqua aumentando la sua temperatura corporea.[28] Quando le temperature salgono oltre una certa soglia, si verifica anche un aumento della sudorazione e dell'affanno.[27] Le antilopi usano il loro manto rado per dissipare il calore in eccesso tramite la reirradiazione.[27] Si ritiene che anche la giogaia svolga un ruolo nella termoregolazione:[29] grazie al suo elevato rapporto superficie/volume, essa può consentire un'efficiente termoregolazione negli esemplari più grandi con una giogaia più sviluppata.[29]

Struttura sociale e riproduzione[modifica | modifica wikitesto]

Due maschi combattono per stabilire la dominanza (Knowsley Safari Park)

Le femmine raggiungono la maturità sessuale tra i 15 e i 36 mesi, i maschi tra i 4 e i 5 anni. Gli accoppiamenti possono aver luogo in qualsiasi periodo dell'anno, ma si concentrano soprattutto nella stagione delle piogge. Nello Zambia i piccoli nascono nei mesi di luglio e agosto, periodo che altrove corrisponde con la stagione degli amori.[21] La stagione degli amori ha inizio quando le antilopi si riuniscono per nutrirsi nelle pianure verdi, rigogliose e ricche di erba, e i maschi e le femmine iniziano ad accoppiarsi tra loro in coppie separate. I maschi inseguono le femmine per scoprire se sono in estro, analizzandone anche l'urina. Di solito, una femmina sceglie di accoppiarsi con il maschio dominante più in forma. A volte scappa dai maschi che cercano di accoppiarsi, con il risultato di attrarre ancora di più la loro attenzione. In questi ambiti scoppiano combattimenti a colpi di corna tra i maschi. Una femmina consente a un maschio di montarla dopo due-quattro ore. I maschi di solito mantengono uno stretto contatto con le femmine nel periodo dell'accoppiamento.[24] Il maschio dominante può accoppiarsi con più di una femmina.[21] Le femmine hanno un periodo di gestazione di nove mesi e danno alla luce un solo piccolo per volta.[30]

Maschi, femmine e giovani formano ciascuno gruppi sociali separati. I gruppi di maschi sono i più piccoli: i membri rimangono insieme spostandosi in cerca di fonti di cibo o acqua. I gruppi di femmine sono molto più numerosi e occupano superfici più estese.[21] Si spostano attraverso le pianure erbose nei periodi umidi e preferiscono le steppe arbustive nella stagione secca. Tra le femmine vige una complessa gerarchia lineare. I gruppi di piccoli e giovani si formano spontaneamente quando le femmine danno alla luce i piccoli. Dopo circa 24 ore dal parto, la madre e il piccolo si uniscono a questo gruppo. I piccoli iniziano a fare amicizia tra loro e rimangono nel gruppo nursery, mentre la madre ritorna nel gruppo delle femmine. I piccoli lasciano il gruppo nursery quando hanno almeno due anni e si uniscono a un gruppo di maschi o di femmine.[30]

Malattie e parassiti[modifica | modifica wikitesto]

Le antilopi alcine sono resistenti alla tripanosomiasi, un'infezione protozoaria che ha come vettore la mosca tse-tse, ma non alla theileriasi, malattia trasmessa dal Rhipicephalus: il batterio patogeno Theileria taurotragi ha causato la morte di molti esemplari. Anche il Clostridium chauvoei, un altro batterio, può essere dannoso. Le antilopi alcine ospitano anche diversi tipi di zecche. Un esemplare analizzato nel corso di uno studio ospitava due specie del genere Amblyomma, A. gemma e A. variegatum, e cinque del genere Rhipicephalus, R. decoloratus, R. appendiculatus, R. evertsi, R. pulchellus e R. pravus. Le antilopi alcine producono anticorpi per i batteri del genere Brucella, ma non per Mycobacterium paratuberculosis o vari tipi di polmonite, come la polmonite bovina contagiosa e la polmonite caprina contagiosa, normalmente infettive nelle vacche e nelle antilopi.[2]

Rapporti con l'uomo[modifica | modifica wikitesto]

Conservazione[modifica | modifica wikitesto]

Antilope alcina in uno zoo di Cracovia (Polonia)

Attualmente l'antilope alcina non è in pericolo. È protetta ai termini dell'Endangered Species Act degli Stati Uniti e il commercio internazionale dei suoi derivati è regolato dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione.[31] Grazie ai dati ricavati da conteggi sul terreno e rilevamenti aerei, l'Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) ha calcolato una densità di popolazione compresa tra 0,05 e 1 esemplare per chilometro quadrato, con una popolazione complessiva stimata di 136000 esemplari.[1] La popolazione è considerata stabile o in aumento in Namibia, Botswana, Zimbabwe, Sudafrica, Malawi, Kenya e Tanzania.

La popolazione, tuttavia, sta gradualmente diminuendo a causa della perdita dell'habitat, causata dall'espansione degli insediamenti umani, e del bracconaggio per la sua carne di qualità superiore.[32] Data la loro docilità e il fatto che rimangono inattive per la maggior parte del tempo, le antilopi alcine possono essere uccise con facilità.[33] La specie era già scomparsa da eSwatini[16] e Zimbabwe,[24] ma vi è stata reintrodotta con successo.

Secondo la IUCN circa la metà della popolazione totale stimata vive all'interno di aree protette e il 30% su terreni privati. Tra le aree protette che ospitano le popolazioni più numerose ricordiamo quelle di Omo (Etiopia), Serengeti, Katavi, Ruaha e Selous-Kilombero (Tanzania), Kafue e North Luangwa (Zambia), Nyika (Malawi), Etosha (Namibia), Kgalagadi (Botswana/Sudafrica) e il uKhahlamba-Drakensberg (Sudafrica).[1] La maggior parte di queste popolazioni sembra essere stabile. Essendo animali preziosi come specie da trofeo, oggi un numero relativamente elevato di esemplari vive su terreni privati, in particolare in Namibia, Zimbabwe e Sudafrica. In Zimbabwe e Sudafrica molte antilopi alcine vivono anche allo stato domestico.[1][34]

Utilizzi[modifica | modifica wikitesto]

Scuoiamento di un'antilope alcina
Antilopi addomesticate
Stemma di Grootfontein (Namibia)

L'antilope alcina viene talvolta allevata e cacciata per la sua carne, e in alcuni casi può costituire un ottimo sostituto dei bovini domestici, essendo più adatta ai climi africani. Ciò ha portato alcuni allevatori dell'Africa australe a sostituire le vacche con le antilopi. L'antilope alcina figura anche come sostegno dello stemma di Grootfontein, in Namibia.

Allevamento[modifica | modifica wikitesto]

Le antilopi alcine hanno un temperamento mite e sono state addomesticate con successo per la produzione di carne e latte in Sudafrica e Russia.[26] Il loro fabbisogno idrico è piuttosto basso, in quanto producono urina con un alto contenuto di urea, ma richiedono ampie superfici per il pascolo, oltre a sale da leccare e grandi quantità di mangime supplementare come mais, sorgo, meloni e fagioli, che possono essere molto costose. Una femmina può produrre fino a 7 kg di latte al giorno, più ricco di grassi rispetto al latte vaccino. Di sapore gradevole, ha un contenuto di grassi dell'11-17% e può essere conservato fino a otto mesi se adeguatamente preparato, diversamente da quello vaccino, che si deteriora dopo pochi giorni.[2]

Tenere in cattività le antilopi alcine è però difficile data la loro capacità di saltare oltre recinzioni alte fino a 3 metri o semplicemente di sfondarle sfruttando la loro mole considerevole. A volte, gli esemplari selvatici sfondano i recinti per mescolarsi con quelli addomesticati. Le antilopi alcine possono riprodursi in cattività, ma il tasso di sopravvivenza dei piccoli è basso e potrebbe essere necessario separarli dalle madri per garantire loro salute e un'alimentazione adeguata.[2] L'allevamento richiede particolari cure perché questi animali, generalmente placidi, si spaventano facilmente e necessitano di molto spazio.[9]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e (EN) IUCN SSC Antelope Specialist Group. 2016, Tragelaphus oryx, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t L. A. Pappas, Elaine Anderson, Lui Marnelli e Virginia Hayssen, Taurotragus oryx (PDF), in Mammalian Species, vol. 689, 5 luglio 2002, pp. 1-5, DOI:10.1644/1545-1410(2002)689<0001:TO>2.0.CO;2 (archiviato dall'url originale il 23 dicembre 2011).
  3. ^ τράγος, su Dizionario Greco Antico - Italiano. URL consultato il 28 maggio 2024.
  4. ^ ἔλαφος, su Dizionario Greco Antico - Italiano. URL consultato il 28 maggio 2024.
  5. ^ Douglas Harper, Oryx, su Online Etymology Dictionary.
  6. ^ a b Common Eland, su Tititudorancea.com, 14 ottobre 2010. URL consultato il 5 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 17 luglio 2011).
  7. ^ Eland, su Oxford University Press, Oxford Dictionaries.
  8. ^ Eland, su Encyclopædia Britannica, Merriam-Webster.
  9. ^ a b c H. Harris, Husbandry Guidelines For The Common Eland (PDF), su nswfmpa.org, 30 aprile 2010. URL consultato il 14 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 17 aprile 2012).
  10. ^ J. Kingdon, The Kingdon Field Guide to African Mammals, Princeton University Press, 1997, ISBN 978-0-691-11692-1.
  11. ^ a b Animal Bytes – Common Eland, su Seaworld.org. URL consultato l'8 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 19 giugno 2012).
  12. ^ a b R. D. Estes, Bushbuck Tribe, in The Safari Companion: A Guide to Watching African Mammals, Including Hoofed Mammals, Carnivores, and Primates, Chelsea Green Publishing, 1999, p. 154, ISBN 978-0-9583223-3-1.
  13. ^ a b J. D. Skinner e C. T. Chimimba, Ruminantia, in The Mammals of the Southern African Subregion, 3ª ed., Cambridge, Cambridge University Press, 2005, pp. 637-9, ISBN 978-0-521-84418-5.
  14. ^ T. Carnaby, Beat About the Bush: Mammals, Jacana Media, 2008, p. 172, ISBN 978-1-77009-240-2.
  15. ^ Common eland: Taxonomy, su Museumstuff.com. URL consultato il 5 gennaio 2011.
  16. ^ a b (EN) D.E. Wilson e D.M. Reeder, Tragelaphus oryx, in Mammal Species of the World. A Taxonomic and Geographic Reference, 3ª ed., Johns Hopkins University Press, 2005, ISBN 0-8018-8221-4.
  17. ^ capitoloChapter XXVII: The Finding of the New Eland John Henry Patterson, The Man-Eaters of Tsavo, and Other East African Adventures, 1907.
  18. ^ C. P. Groves e P. Grubb, Artiodactyla, in Ungulate Taxonomy, Maryland, Johns Hopkins University Press, 2011, p. 142, ISBN 978-1-4214-0093-8.
  19. ^ W. Jorge, S. Butler e K. Benirschke, Studies on a male eland x kudu hybrid, in Reproduction, vol. 46, n. 1, 1º gennaio 1976, pp. 13-16, DOI:10.1530/jrf.0.0460013, PMID 944778.
  20. ^ Eline D. Lorenzen, Charles Masembe, Peter Arctander e Hans R. Siegismund, A long-standing Pleistocene refugium in southern Africa and a mosaic of refugia in East Africa: insights from mtDNA and the common eland antelope, in Journal of Biogeography, vol. 37, n. 3, 1º marzo 2010, pp. 571–581, DOI:10.1111/j.1365-2699.2009.02207.x.
  21. ^ a b c d e Taurotragus Oryx:Information, su Animal Diversity Web, University of Michigan Museum of Zoology.
  22. ^ Wild Animals of Africa-Common eland, su Wackywildlifewonders.com. URL consultato il 5 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 6 gennaio 2011).
  23. ^ Eline D. Lorezen, Charles Masembe, Peter Arctander e Hans R. Siegismund, A long‐standing Pleistocene refugium in southern Africa and a mosaic of refugia in East Africa: insights from mtDNA and the common eland antelope, in Journal of Biogeography, vol. 37, n. 3, 2010, pp. 571–581, DOI:10.1111/j.1365-2699.2009.02207.x.
  24. ^ a b c d The Living Africa: Wildlife – Bovid Family – Common Eland, su Library.thinkquest.org. URL consultato il 9 aprile 2012 (archiviato dall'url originale il 17 febbraio 2012).
  25. ^ a b R. M. Burton, Eland, in International wildlife encyclopedia, 3ª ed., New York, Marshall Cavendish, 2002, pp. 757-9, ISBN 978-0-7614-7266-7.
  26. ^ a b John P. Rafferty (a cura di), Elands, Antelopes, su Grazers, Britannica Educational Pub., 1ª ed., New York, NY, 2010, pp. 77-8, ISBN 978-1-61530-465-3.
  27. ^ a b c d V. Finch, Thermoregulation and heat balance of the East African eland and hartebeest, in American Journal of Physiology. Legacy Content, vol. 222, n. 6, 1º giugno 1972, pp. 1374-1379, DOI:10.1152/ajplegacy.1972.222.6.1374, ISSN 0002-9513 (WC · ACNP), PMID 5030193.
  28. ^ C. Taylor, Metabolism, respiratory changes, and water balance of an antelope, the eland, in American Journal of Physiology. Legacy Content, vol. 217, n. 1, 1º luglio 1969, pp. 317-320, DOI:10.1152/ajplegacy.1969.217.1.317, ISSN 0002-9513 (WC · ACNP), PMID 5785895.
  29. ^ a b Jakob Bro-Jørgensen, Evolution of the ungulate dewlap: thermoregulation rather than sexual selection or predator deterrence?, in Frontiers in Zoology, vol. 13, n. 1, dicembre 2016, pp. 33, DOI:10.1186/s12983-016-0165-x, ISSN 1742-9994 (WC · ACNP), PMC 4949748, PMID 27437025.
  30. ^ a b Taurotragus oryx (Common eland)-Ontogeny and Reproduction, su Ultimateungulate.com. URL consultato il 5 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2011).
  31. ^ Stephanie L. Dolly e Stephen Shurter, Common Eland (PDF), su antelopetag.com.
  32. ^ R. East, Common Eland (Tragelaphus oryx), in West and Central Africa, Gland, IUCN, 1990, p. 131, ISBN 978-2-8317-0016-8.
  33. ^ Ecology and conservation of the eland, su Seaworld.org. URL consultato il 5 gennaio 2011 (archiviato dall'url originale il 19 giugno 2012).
  34. ^ Rod East (a cura di), Common Eland (Conservation status), in African antelope database 1998, Gland, Svizzera, The IUCN Species Survival Commission, 1999, p. 139, ISBN 978-2-8317-0477-7.

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

  Portale Mammiferi: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di mammiferi